La créscia petriolese

Il rito semplice di mischiare la farina ed acqua tiepida di nonna Catarì si rinnovava tutte le sere perché il suo forno era l’unico a Petriolo e bisognava mettere il lievito ogni sera per permettere alla popolazione di avere l’alimento più antico e più buono del mondo sulla sua tavola. Prendeva la farina e la impastava con l’acqua calda ed un pizzico di sale. Una volta fatta la massa la Incideva con il coltello a forma di croce disegnando in aria con la mano destra altre tre croci per rispettare il suo profondo senso religioso. La pasta veniva tenuta al caldo dentro la conca della “mattara”, insieme allo “scallì”, lo scaldino o alla “mònneca La “mònneca” era una specie di pentola forata in superficie o di rame o di coccio che insieme a “lu prète” serviva per riscaldare il letto.

Il mattino seguente nonna Catarì riprendeva l’impasto e con l’aggiunta di altra acqua e farina l’impastava fino a quando tutto era diventato liscio e compatto. Il suo pane era alveolato sottilmente ed omogeneo e doveva sfamare, non ci si sfamava con i buchi. Una volta raggiunta la lievitazione, prendeva un pezzo di massa, faceva una pallina e la schiacciava per ottenere la créscia. Solo acqua e farina ed un pizzico di sale come la nostra créscia di stasera con una lunga giornata di lievitazione. La créscia non è la solita pizza, è pasta di pane e basta e soprattutto è pur essendo più spessa, croccante e alveolata. Una cosa importante per noi, per questione di digeribilità, mettiamo la mozzarella poco prima di portarla in tavola per evitare che cuocia troppo.

Per fare la créscia petriolese, non c’è bisogno molto da impastare. Si può fare con il lievito madre o con lievito di birra disidratato o fresco, per questi ultimi basta un grammo. L’essenziale è la lunga lievitazione. Tutta la notte e la mattina per essere poi cotte la sera.

Noi impastiamo dalle 600 grammi al kl di farine, che sono o integrale insieme alla 0 o 00 oppure di tipo 1 con germe di grano duro e farina 0 o 00. Per 600 grammi di farina mista, occorrono 350/400 grammi di acqua, 50 grammi di lievito madre o meno di un cucchiaino di lievito di birra disidratato o meno di un grammo di lievito di birra fresco. Noi facciamo così.

La sera, nella ciotola della planetaria, mettiamo l’acqua, il lievito madre o di birra, un cucchiaino di zucchero o di miele, lo frulliamo ad immersione per formare una bella schiuma, uniamo le farine e qui ci sono due metodi. Uno senza impasto che consiste nel mescolare le farine unendo un cucchiaino di sale fino, quando tutto si è amalgamato, dobbiamo ottenere un impasto morbido e un po’ appiccicoso, smettiamo di mescolare e mettiamo la ciotola dentro un sacchetto per surgelati. L’impasto deve stare in una temperatura giusta, per sicurezza la lasciamo a quella della nostra casa, tanto deve lievitare la notte e la mattina. Se vogliamo accorciare i tempi, lo lasciamo nel forno spento con la lucina accesa. Il secondo metodo, consiste nella lavorazione in planetaria, che deve essere rapida. Non c’è bisogno di lavorarlo troppo, appena le farine hanno assorbito l’acqua, mettiamo il sale sciolto in un poco di acqua, lasciamo fare altri giri, appena l’impasto si stacca dalle pareti della ciotola, smettiamo di impastare, possiamo unire tre cucchiai di olio extravergine di oliva ma non sono necessari infatti la créscia dei miei nonni, era solo acqua lievito naturale ed acqua. Scegliete voi. Mettiamo a lievitare la pasta sempre dentro il sacchetto per surgelati tutta la notte e la mattina.

Appena la pasta è raddoppiata, cominciamo a fare le pieghe in ciotola, tiriamo su un lembo, e lo lasciamo cadere chiudendolo sulla pasta. Tiriamo e lasciamo tre volte. Queste pieghe le faremo per tre volte, una ogni 20 minuti. Ribaltiamo la pasta sul piano di lavoro infarinato, allarghiamo la pasta partendo dal centro alle estremità, sovrapponiamo i lati, quello a destra e poi sopra quello a sinistra, chiudiamo sigillando bene con le dita, riprendiamo il lato davanti a noi, quello che si trova ad altezza della nostra pancia, portiamolo al centro e poi sul lato ancora che si trova davanti. Chiudiamo, sigillando e tagliamo in pezzi per fare la créscia. Con questa quantità, vengono tre créscie grandi e due piccole. La grandezza la stabilite voi. Ora sgonfiamo ogni pezzo e lo pirliamo, finito questo, li lasciamo coperti sempre dal sacchetto. Noi facciamo tre sgonfiamenti e tre pirlature, cioè arrotoliamo ogni pezzo facendolo girare fra le mani sopra la spianatoia, uno ogni 20 minuti, questi renderanno la pasta, più elastica, setosa e leggera da stendersi con le mani. Dopo l’ultimo riposo, stendiamo ogni pezzo con le mani unte di olio, partendo dal centro fino ad ottenere un disco di pasta che delicatamente, poggeremo sullo stampo unto ed infarinato per farlo lievitare ancora. Quando la pasta si gonfierà dovremo avere già il forno caldo alla massima temperatura, 240/250 gradi. Poco prima di cuocere la créscia, stendiamoci il pomodoro a pezzi e mettiamola in forno. Dovrebbero volerci pochi minuti se si ha un forno efficiente. La cottura deve essere rapida, noi mettiamo la mozzarella alla fine per evitare che indurisca, e la rimettiamo solo a sciogliere per pochi minuti. Questo però è un nostro modo, voi potete cuocere la créscia mettendo subito pomodoro e mozzarella insieme.

La differenza fra la créscia e la pizza sta proprio nello spessore della prima che pur essendo alto, rimane croccante, non ha certamente quello strato moscio ed appiccicato della pizza al piatto dove il mezzo è una poltiglia mescolata agli ingredienti aggiunti.

Una bella e rapida cottura come in pizzeria, di fa con il cuoci pizza dell’Ariete il genio della cucina. È poco costoso ed è assolutamente valido.

La créscia possiamo lasciarla bianca condita con olio extravergine di oliva e rosmarino.

Buona vita, buona créscia petriolese ❤️

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