Ricette tipiche

LA CRÉSCIA DI DAMONE E CATARÌ

Allepoca dei miei nonni Damone e Caterina fornai unici in quel piccolo paese che si chiama Petriolo, usava specialmente d’estate preparare la créscia rossa come la chiamavamo noi piccoli nipoti.

Eravamo tanti, insieme ai nostri compagni, a giocare nel terrazzino della nostra casa in via Umberto primo sulla strada principale del paese. Il terrazzino lungo e stretto, serviva per giocare a campana, o a fare le mamme delle nostre bambole di pezza con la testa di coccia. Cucinavamo usando la terra rossa scavata sulla scarpata del campo della Rimembranza, ora giardini pubblici. Qualche volta capitava di cucinare per davvero qualcosa, era la crema pasticcera fatta con le bustine di Orocrema, un preparato dove non servivano le uova.

Facevamo il rinfresco per festeggiare il battesimo delle nostre bambole che portavamo giù alla chiesa delle Grazie e venivamo scacciate dal povero curato di campagna don Federico appena mettevamo piedi all’ingresso che dava sulla strada che portava alla collina e alla selva di Bandini (abbadia di Fiastra) come la chiamavano tutti allora.

Tornavamo a casa a gambe levate impaurite e tremanti con il fiato in gola.

Ci aspettava la crema che mangiavamo nelle tazzine colorate, verde, giallo e rosso! Eravamo così felici che ci sembravano vere le nostre bambole!

La créscia che facevano i miei nonni, era fatta con la pasta del pane, le massaie la andavano a comprare ogni volta che la volevano fare, lo stesso impasto serviva pure per fare le frittelle, le cresce che poi friggevano nello strutto tenuto gelosamente da parte nel tempo della preparazione della pista (l’uccisione dei maiali).

La créscia veniva condita con l’olio di casa, un bel giro generoso con l’aggiunta dei pomodori rossi, rossi maturati al caldo tanto caldo, del sole dell’estate petriolese.

La tradizione dei miei nonni continua, nonna Catarì, parlava poco, ma faceva molto per la sua famiglia ed i parenti, il pane era assicurato per tutti, così come tutti i dolci e le preparazioni tradizionali cominciando da Natale fino a Pasqua.

Il resto è raccontato molto in questo diario di ricette e racconti della nostra famiglia.!

Le nostre crésce sono con la pasta madre e a lunga lievitazione. Assomigliano a quelle dei miei nonni, sono croccanti e non hanno niente a che fare con le pizze mosce e salate che molte volte si mangiano in giro!

Scusateci se pecchiamo un po’ in orgoglio di nipoti d’arte! Ci viene da ridere, ma in fondo mangiare una buona cosa fa star decisamente bene!

A presto!

Buona vita, buona créscia dei miei nonni Damone e Catarì ❤️❤️



LA FAVA ‘NGRÉCCIA

Culinaria marchigiana


Giovanni Ginobili


La cena era semplicissima.
“La fava ‘ngréccia”; cioè fava lessata a mezza cottura e condita con maggiorana, olio, aceto, sale e aglio.
Se poi vi si univano sardelle, allora era chiamato “lu cuticusu” di cui i paesani erano ghiottissimi.

Da costumanze marchigiane di Giovanni Ginobili poeta dialettale di Petriolo

Il mio ricordo oggi va ai miei genitori, ieri era il compleanno di babbo ed oggi sono 20 anni che mia madre se n’è andata.
Babbo era il presidente dei combattenti e reduci della sezione di Petriolo, lui stesso preparava “lu cuticusu”, quando il due novembre si festeggiavano i morti. La fava ‘ngréccia, a ricordo della tradizione di sgranocchiare le fave dei morti.
Il cuticusu oggi è in versione primaverile, le fave sbollentate in acqua bollente ed aceto con il sale, fatte freddare e condite come vuole la tradizione. Tonno, alici, aceto ed olio extravergine di oliva, “mindùccia”, mentuccia, maggiorana, timo, santoreggia, salvia, aglio che io non posso mangiare e peperoncino.
Questo è un piatto povero, saporito e gustoso. Per poterlo preparare nelle stagioni quando non è tempo di fave, io le ho conservate sotto aceto, sterilizzate e surgelate appena sbollentate.

Ricordiamoci sempre di portare a tavola le nostre ricette, quelle della tradizione per non dimenticarle!

Buona vita, buona fava ‘ngréccia ❤️

Créscia de casció di Pasqua (pizza di formaggio pasquale)

La créscia de càscio de Nella

Premessa: ce l’hai lu callaréllu? Perché se non ce l’hai, adè mèjo che lasci pèrde’!

Sinti, cocca: sbatti, dentro un piatto che ce cunnìsci la pasta, 4 uova con un pizzico de sale, un scacchíttu o due de lèvetu, un etto de parmigiano, un etto de pecorino sìcco, un pizzico de pepe, una grattata de noce moscata (me raccomanno, devi sbatte bbè’!), mettece u’ mmecchjé’ d’ójo d’oliva, u’ mmecchjé’ de latte (mmischia vè’ te dico!), bùttece quànda farina pìja quello che si’ sbattuto e ppó’ ‘mbasta per bè’ sopra la spianatóra.

Quànno si’ ffinito de ‘mbastà’, fa’ du’ palle (che tte rridi! che ssi’ capito!) e le mitti dentro li callarìtti.

Me reccommànno che non ce devi métte’ la carta forno, no, non vàla ve, la créscia non vène liscia: li callarìtti li devi ógne per bè’ có ll’ójo e li devi infarinà’.

E ppó’ dopo le palle che ssi’ fatto (ma che ridi, oh!) li cùpri có’ le copertèlle de lana per falle levetà’ per bè’. Mettele a lo callùccio e nó’ je fa’ pijà’ ll’aria, che sennò te rva jó e dopo te tocca de vuttàlle via.

E ppó’ ‘ppìccia lu furnu, mìttulu a 150 gradi (non deve èsse’ tàndo càllu!), piano piano le mìtti a còce’, je cce vorrà tre quarti d’ora (règolete tu, le vìdi quànno adè dorate!).

Ah! Me so scordata, cocca, de dìtte che prima de méttele a còce’, le devi ‘ndorà’ có ll’óu sbattutu.

Ecco come le facìo io quànno stavo vè’.

Ecco come è venuta senza pesare la farina, ma regolandomi con la morbidezza degli ingredienti! C’è solo una differenza, la lunga lievitazione fatta tutta la notte cosa che si può fare se si usa meno lievito.

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Baccalà al latte e cannella con pinoli

Oggi ho raccontato le mezze maniche con crema di baccalà alla cannella e pinoli ricetta di mia madre, che però non aggiungeva i pinoli, stasera vi mostro il baccalà al forno di mia madre!

Buonissimo è il baccalà fatto al forno, in questo modo!

Ho messo nella pirofila l’olio extravergine di oliva, i filetti di baccalà, niente sale, perché è molto saporito, il latte, quel tanto che è servito per coprire il fondo del piatto, ho coperto i filetti con il pane grattugiato tostato mescolato alla cannella ed ho aggiunto i pinoli. Ho messo a cuocere in forno a 180 gradi per 20 minuti!

Buonissimo, credetemi e poi la conferma me l’ha data stasera l’ intenditore di casa, tornato finalmente!

Buona vita, buon baccalà alla cannella e pinoli ❤️

Il cammino di quaresima continua!

A presto!

Challah

«Parla ai Figli d’Israele, quando voi sarete entrati nel paese dove sto conducendovi e mangerete del pane, ne sottrarrete un’offerta al Signore» (Torah; Num. 15, 18-19).

Challah (חלה plurale Challot) è un panetradizionale ebraico a forma di treccia mangiato in occasione dello Shabbat (e di altre feste, tranne Pesach). Lo Shabbat è il giorno di festa degli ebrei.

E’ questa l’origine della challah, il pane bianco che accompagna lo shabbat e le feste ebraiche. 

Originariamente, e fin quando fu possibile, da questo pane era prelevata la decima che veniva offerta al sacerdote. Oggi che non c’è più il Tempio, si preleva comunque un pezzetto dell’impasto che viene messo da parte, bruciato in forno e non consumato. 
La challah, pane bianco e soffice di gusto leggermente dolce, è una delle componenti essenziali del pasto di sabato. E’ a forma di treccia, e sulla tavola ne sono presenti due, a misura della doppia porzione di manna che Dio elargiva agli israeliti nel deserto alla vigilia del sabato e delle feste. La preparazione di questo pane e il prelevamento dell’offerta dall’impasto, sono esclusiva incombenza femminile.

Fonte: Elena Loewenthal “Gli ebrei questi sconosciuti”

Questo è il giorno della memoria prepariamo anche noi la challah.

Ingredienti

7 g di lievito secco
160 ml di acqua tiepida
1 cucchiaio di miele
80 ml di olio extra vergine d’oliva
2 uova
2 cucchiaini di sale
500 gr di farina di forza tipo Manitoba
Per spennellare
1 uovo o un tuorlo 
1 cucchiaino di miele 
semi di sesamo o di papavero
Preparazione
Sciogliamo il lievito e il miele nell’acqua tipeida. Sul piano di lavoro, o nella ciotola della planetaria mettiamo la farina l’acqua, il miele e il lievito sciolti prima, le uova ed il sale sbattuti a parte, lasciamo impastare tutto insieme fino ad ottenere un impasto morbido. Aggiungiamo l’olio piano piano facendolo assorbire tutto. Proseguiamo a lavorare la pasta e quando si presenta liscia e setosa che si staccherà dalla mani o dalle pareti della ciotola della planetaria mettiamo a lievitare fino al raddoppio coperta da un sacchetto per surgelati dentro il forno spento con la lucetta accesa.

Dividiamo l’impasto in due parti uguali e formiamo la treccia. Sbattiamo l’uovo con il cucchiaino di miele e spennelliamo il composto sulla challah. Se vogliamo spolveriamo con semi di sesamo o di papavero. Mettiamo di nuovo lievitare fino a raddoppiare il volume.

Accendiamo il forno a 180° e mettiamo a cuocere in modalità statica fino a che il pane sarà leggermente brunito. Ci vorranno circa 30/ 35 minuti. Regoliamoci in base alla temperatura del nostro forno.
Spegniamo il forno e lasciamo freddare.
Portiamo in tavola la challah sopra un bel vassoio ed un fiore per decorare!
Non servono parole per ricordare le vittime, lasciamo che il cuore pianga pregando Dio per loro e perché non accada più un orrore simile!

Mai più!

Zuppa di cavoli neri e “trozzetti de’pà” (tozzetti di pane)

È particolarmente buono il cavolo nero toscano che subisce il gelo perché diventa più croccante e più intenso nel sapore. Il cavolo nero è particolarmente ottimo per preparare zuppe e minestre rustiche da consumare nei giorni più freddi come questi di quasi fine gennaio. Per oggi una zuppa di cavoli neri insieme alle carote che cuociono insieme cercando però di mantenere le verdure ancora croccanti e da accompagnare con i “trozzetti”di pane abbrustoliti al forno, scaglie di parmigiano reggiano e con olio extravergine di oliva a crudo. Per una zuppa più forte, potremmo friggere il pane nell’olio bollente extravergine di oliva.

Buona vita, buona zuppa di cavoli neri e “trozzetti de’pà ❤️

Li sgrisciuli o grasselli o ciccioli

Li sgrisciuli o grasselli o ciccioli”, sono un prodotto alimentare ottenuto dalla lavorazione del grasso del maiale nella preparazione dello strutto.

La preparazione è lunga e bisogna armarsi di pazienza, di attenzione e soprattutto bisogna essere ben vestiti non solo per il freddo del posto in cui si svolge la lavorazione della carne di maiale, ma anche per quanto bisogna sporcarsi le mani ed il resto. Si prendono il grasso sottocutaneo (lardo) e quello viscerale la (sugna) del maiale, si tagliano in piccole parti e si mettono a cuocere su fuoco lento della cucina economica antica, si fa fondere la parte grassa per consentire l’evaporazione dell’acqua contenuta. Quando i pezzi di grasso hanno acquistato un colore giallastro, si lasciano asciugare sopra la carta paglia, si salano e se piace si possono insaporire con l’aggiunta di aromi, che possono essere chiodi di garofano, noce moscata o simili da usare per aromatizzare i salumi.

La parte colata è lo strutto, la parte solida restante, sono i ciccioli, “li sgrisciuli”!

Lo strutto una volta si conservava nella vescica del maiale, ora in piccoli vasetti e mantenuti in frigo o in surgelatore dove possono restare per più di un anno. Li sgrisciuli o grasselli o ciccioli, sono utilizzati in cucina in molte parte d’Italia, nella nostra regione le Marche, la ricetta più famosa ed antica è la créscia al profumo di buccia di arancia e lo strutto si utilizza oltre che negli impasti della créscia e delle pizze di formaggio Pasquale anche per la frittura, il suo punto di fumo più alto, rende i prodotti fritti leggeri e più asciutti, colesterolo a parte, ma questa è un’altra storia. A noi non interessa!

Buona vita, buona créscia co’ li sgrisciuli ❤️

Questa è la créscia co’li “sgrisciuli” fatta ora e trovate la ricetta qui👇

https://farinaefiore.com/2021/01/17/la-crescia-co-li-sgrisciuli/

La créscia co’ li sgrisciuli

La merenda stasera la facciamo nelle #Marche.

Ecco la Pizza anzi, “la créscia” con il lievito madre e ‘co’ li sgrisciuli’ #italiaintavola #marcheintavola

Questa è la ricetta di @sunusaix

Ingredienti per 1 kg di pizza

– 6 persone circa

1 kg di farina 0, 700 gr di acqua, o quella che prende il quantitativo degli ingredienti, 300 gr di lievito madre oppure 15 gr di lievito di birra, 250 gr di sgrisciuli o grasselli a seconda del gusto, 100 gr di strutto, buccia d’arancia biologica sale pepe.

Preparazione

Per prima cosa setacciare la farina e aggiungere il lievito madre rinfrescato o di birra, Iniziare poi ad aggiungere l’acqua regolandosi a seconda della quantità che viene assorbita dalla farina in modo da ottenere un impasto morbido. Unire gli “sgrisciuli”, la buccia d’arancia a pezzettini, il sale ed il pepe. Lavorando con cura aggiungere lo strutto senza farlo assorbire completamente dall’impasto in modo da ottenere la sfogliatura della pasta. Lasciare lievitare il tutto su una ciotola unta di olio al caldo posta dentro un forno spento fino a raddoppiare del volume. Se viene usato il lievito di birra lasciate lievitare per più tempo al fresco, fino a raddoppiare del volume. Stendere su una teglia o due, a seconda delle dimensioni del forno, e cuocere a 200°C fino ad ottenere un colore dorato. Buon appetito!

Questa crèscia rustica di sapore e forte al palato, è ottima anche tagliata a quadretti e servita per aperitivo insieme al “cuausculu”, il salame morbido a pasta fine e spalmabile.

Buona vita e buona festa di S. Antonio ❤️

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La créscia petriolese

Il rito semplice di mischiare la farina ed acqua tiepida di nonna Catarì si rinnovava tutte le sere perché il suo forno era l’unico a Petriolo e bisognava mettere il lievito ogni sera per permettere alla popolazione di avere l’alimento più antico e più buono del mondo sulla sua tavola. Prendeva la farina e la impastava con l’acqua calda ed un pizzico di sale. Una volta fatta la massa la Incideva con il coltello a forma di croce disegnando in aria con la mano destra altre tre croci per rispettare il suo profondo senso religioso. La pasta veniva tenuta al caldo dentro la conca della “mattara”, insieme allo “scallì”, lo scaldino o alla “mònneca La “mònneca” era una specie di pentola forata in superficie o di rame o di coccio che insieme a “lu prète” serviva per riscaldare il letto.

Il mattino seguente nonna Catarì riprendeva l’impasto e con l’aggiunta di altra acqua e farina l’impastava fino a quando tutto era diventato liscio e compatto. Il suo pane era alveolato sottilmente ed omogeneo e doveva sfamare, non ci si sfamava con i buchi. Una volta raggiunta la lievitazione, prendeva un pezzo di massa, faceva una pallina e la schiacciava per ottenere la créscia. Solo acqua e farina ed un pizzico di sale come la nostra créscia di stasera con una lunga giornata di lievitazione. La créscia non è la solita pizza, è pasta di pane e basta e soprattutto è pur essendo più spessa, croccante e alveolata. Una cosa importante per noi, per questione di digeribilità, mettiamo la mozzarella poco prima di portarla in tavola per evitare che cuocia troppo.

Per fare la créscia petriolese, non c’è bisogno molto da impastare. Si può fare con il lievito madre o con lievito di birra disidratato o fresco, per questi ultimi basta un grammo. L’essenziale è la lunga lievitazione. Tutta la notte e la mattina per essere poi cotte la sera.

Noi impastiamo dalle 600 grammi al kl di farine, che sono o integrale insieme alla 0 o 00 oppure di tipo 1 con germe di grano duro e farina 0 o 00. Per 600 grammi di farina mista, occorrono 350/400 grammi di acqua, 50 grammi di lievito madre o meno di un cucchiaino di lievito di birra disidratato o meno di un grammo di lievito di birra fresco. Noi facciamo così.

La sera, nella ciotola della planetaria, mettiamo l’acqua, il lievito madre o di birra, un cucchiaino di zucchero o di miele, lo frulliamo ad immersione per formare una bella schiuma, uniamo le farine e qui ci sono due metodi. Uno senza impasto che consiste nel mescolare le farine unendo un cucchiaino di sale fino, quando tutto si è amalgamato, dobbiamo ottenere un impasto morbido e un po’ appiccicoso, smettiamo di mescolare e mettiamo la ciotola dentro un sacchetto per surgelati. L’impasto deve stare in una temperatura giusta, per sicurezza la lasciamo a quella della nostra casa, tanto deve lievitare la notte e la mattina. Se vogliamo accorciare i tempi, lo lasciamo nel forno spento con la lucina accesa. Il secondo metodo, consiste nella lavorazione in planetaria, che deve essere rapida. Non c’è bisogno di lavorarlo troppo, appena le farine hanno assorbito l’acqua, mettiamo il sale sciolto in un poco di acqua, lasciamo fare altri giri, appena l’impasto si stacca dalle pareti della ciotola, smettiamo di impastare, possiamo unire tre cucchiai di olio extravergine di oliva ma non sono necessari infatti la créscia dei miei nonni, era solo acqua lievito naturale ed acqua. Scegliete voi. Mettiamo a lievitare la pasta sempre dentro il sacchetto per surgelati tutta la notte e la mattina.

Appena la pasta è raddoppiata, cominciamo a fare le pieghe in ciotola, tiriamo su un lembo, e lo lasciamo cadere chiudendolo sulla pasta. Tiriamo e lasciamo tre volte. Queste pieghe le faremo per tre volte, una ogni 20 minuti. Ribaltiamo la pasta sul piano di lavoro infarinato, allarghiamo la pasta partendo dal centro alle estremità, sovrapponiamo i lati, quello a destra e poi sopra quello a sinistra, chiudiamo sigillando bene con le dita, riprendiamo il lato davanti a noi, quello che si trova ad altezza della nostra pancia, portiamolo al centro e poi sul lato ancora che si trova davanti. Chiudiamo, sigillando e tagliamo in pezzi per fare la créscia. Con questa quantità, vengono tre créscie grandi e due piccole. La grandezza la stabilite voi. Ora sgonfiamo ogni pezzo e lo pirliamo, finito questo, li lasciamo coperti sempre dal sacchetto. Noi facciamo tre sgonfiamenti e tre pirlature, cioè arrotoliamo ogni pezzo facendolo girare fra le mani sopra la spianatoia, uno ogni 20 minuti, questi renderanno la pasta, più elastica, setosa e leggera da stendersi con le mani. Dopo l’ultimo riposo, stendiamo ogni pezzo con le mani unte di olio, partendo dal centro fino ad ottenere un disco di pasta che delicatamente, poggeremo sullo stampo unto ed infarinato per farlo lievitare ancora. Quando la pasta si gonfierà dovremo avere già il forno caldo alla massima temperatura, 240/250 gradi. Poco prima di cuocere la créscia, stendiamoci il pomodoro a pezzi e mettiamola in forno. Dovrebbero volerci pochi minuti se si ha un forno efficiente. La cottura deve essere rapida, noi mettiamo la mozzarella alla fine per evitare che indurisca, e la rimettiamo solo a sciogliere per pochi minuti. Questo però è un nostro modo, voi potete cuocere la créscia mettendo subito pomodoro e mozzarella insieme.

La differenza fra la créscia e la pizza sta proprio nello spessore della prima che pur essendo alto, rimane croccante, non ha certamente quello strato moscio ed appiccicato della pizza al piatto dove il mezzo è una poltiglia mescolata agli ingredienti aggiunti.

Una bella e rapida cottura come in pizzeria, di fa con il cuoci pizza dell’Ariete il genio della cucina. È poco costoso ed è assolutamente valido.

La créscia possiamo lasciarla bianca condita con olio extravergine di oliva e rosmarino.

Buona vita, buona créscia petriolese ❤️