All’inizio di via Umberto I c’è ancora, a fianco di quella che era la farmacia del dottor Chiavari, un arco di mattoni che dà su una ripida via immattonata che viene dalle campagne sottostanti.
L’arco era chiuso da un grosso portone di legno che si apriva soltanto d’autunno, all’epoca della vendemmia, facendo entrare file di carri trainati da vacche, carichi di cassette ricolme d’uva.
Nell’aria si spandevano effluvi contrastanti e il profumo inebriante dell’uva sì mescolava a quello acre degli escrementi delle vacche, che disegnavano enormi margherite marroni, diciamo così, lungo la via.
Le vie del paese, dal castello al borgo, venivano prese da un frenetico movimento per la preparazione di tutte le attrezzature della nuova produzione di vino.
I portoni delle varie cantine si spalancavano lasciando uscire il profumo di vino delle botti.
I contadini di ogni proprietario si preparavano a pulire ogni cosa, le botti, “le canà”, grossi contenitori dove si pigiava l’uva, i torchi, “lu viunzu” il bigoncio di diverse misure, che serviva per trasportare mosto e vinacce nelle botti, i forconi le pale, le ramine.
Le botti ed i tini sistemati definitivamente nelle varie posizioni scelte.
A questo punto il fattore dava l’ordine di consegnare l’uva padronale.
Arrivavano i birocci, carri variopinti raffiguranti le varie operazioni colturali, tirati da una coppia di buoi bianchi adornati e infiocchettati. Sopra c’erano tre o quattro file di cassette di legno contenenti le varie qualità di uva. Allo scarico della stessa uva, si presentavano ragazzi e donne del paese che furtivamente approfittavano per prendere qualche grappolo di uva.
I contadini provavano a scacciarle urlando ma sotto sotto a loro non interessava granché perché si trattava dell’uva del padrone.
Scaricate le cassette incominciavano a vuotarle dentro “le caná”, iniziavano la pigiatura con i piedi. I predestinati a questo operazione, dopo aversi lavato alla meglio i piedi, saltavano dentro e cominciano a pestarla saltellando al ritmo di stornelli.
Contemporaneamente dalla bocchetta delle “caná”, pigiatoio di legno o in muratura, usciva il mosto di prima spremitura e finiva dentro ad un enorme secchio di legno. Il mosto pulito veniva trasferito nelle botti destinate fino al riempimento.
Le vinacce venivano rimesse nei torchi e iniziava la spremitura fino al loro esaurimento. Uscita l’ultima parte di mosto, è qui che alcune massaie del paese si presentavano con le bottiglie da riempire con il succo appena spremuto. Il mosto veniva usato per preparare i ciambelloni o filoni di mosto fresco, le mostarde o la sapa un concentrato dolce impiegato nella preparazione del “crustingu”, dolce tradizionale popolare di Natale.
Mi fermo qui e vi racconto la mia ricetta di “lu ciammellottu de musto” o ciambellone col mosto al profumo di anici e uvetta.
Questi biscotti durano molto tempo, una volta biscottati si conservano o in barattoli di vetro o nelle scatole di latta.
Ingredienti
750 grammi di farina
300 grammi di zucchero
300 grammi mosto o quello che serve per ottenere un impasto morbido
Due bustina di lievito disidratato
70 grammi di olio extravergine di oliva
anici a piacere
Uvetta o fichi o noci
Il ciambellone o filoncino di mosto si può fare anche con due uova diminuendo il mosto e nella mia versione con uvetta, noci e fichi freschi.
Preparazione
Prima di tutto si mette a scaldare in una tazza il mosto fresco con due o tre cucchiai di anici, nel frattempo si prepara il lievitino con 250 gr di farina 0, 150 gr di zucchero e due bustine di lievito secco di birra o un cubetto fresco, si mescola con il mosto tanto quanto basta ad ottenere una pastella. Si lascia riposare fino a quando la superficie è piena di bolle. Nella ciotola della planetaria, o a mano, si mettono la restante farina 0, 150 gr di zucchero, il lievitino, si comincia ad impastare aggiungendo il mosto con gli anici riscaldato prima, quanto ne serve per avere un composto morbido e non troppo appiccicoso. Unire poco alla volta 70 gr di olio extravergine d’oliva, lavorare fino a completo assortimento. Lasciare lievitare fino al raddoppio. Riprendere la pasta, sgonfiarla un po’ e tagliare in tre parti, ora qui si possono aggiungere uvetta, noci e fichi a pezzetti oppure nulla. Formare tre filoni e mettere a lievitare sopra la lastra del forno con carta forno, lasciando una piega di carta fra un filoncino e l’altro per non farli attaccare. Una volta lievitati cuocere a 160 gr per circa un’ora. Lasciare che si freddino e gustare con il vino cotto o la cioccolata calda oppure il giorno dopo, tagliare i filoni a fette e mettere a tostare in forno per ottenere i biscotti.
Lunga preparazione, tanta pazienza!
Intanto però del racconto non resta solo che il ricordo, il paese con l’ultimo terremoto ha subito gravi danni specialmente nella parte del castello centro storico. I giovani se ne stanno andando, non hanno più alcun desiderio di farsi una vita tranquilla e decisamente più sana di altrove. Restano solo le vie tanto del castello come quelle della via che era la principale, via Umberto primo, deserte e lasciate nel degrado.
Noi ci auguriamo che presto qualcuno si svegli dal torpore mentale e faccia quel che serve per riportare vita e lavoro.
Buona vita, buon ciambellone di mosto ❤️