Non ho più molto tempo per pubblicare e pensare alle storie di tutta la vita vissuta fin qua.
C’è Sara Futura, la creatura nata a febbraio che mi impegna tutto il giorno, perdersi anche un secondo di lei meravigliosa bimba, vuol dire trovarsela cresciuta senza averla goduta in ogni suo aspetto.
È troppo importante e bello il tempo dedicato a lei, la vita cambia e fa capire che niente è come lei!
Una sola cosa continuo a fare facendo anche i salti mortali, il pane con il lievito madre, magari a tarda notte lo impasto e lo lascio riposare per tutto il tempo necessario.
La vita è un dono, ogni nuova creatura ce lo ricorda.
Buona vita, buon pane nostro naturale!
L’amore è SARA FUTURA ❤️
Pane di semola rimacinata di grano duro Pane con lo yogurt bianco greco ed i semi vari Pane con anche farina di tipo uno e germe di grano duro Pane semplice Pane con anche farina integrale
Poco tempo, stanchezza, e freddo per una giornata da festeggiare. È Pasqua, quest’anno la quaresima è volata!
Come apparecchiare in modo bello e veloce?
Colgo quel che c’è nell’orto giardino scapigliato, lauro fiorito, aglio napoletano, fiori di rosmarino e uova dipinte in un batter d’occhio. Candelabri fatti a mano per il matrimonio di Riccardo e Josephin. Tazzine da caffè anche per la sua prima Pasqua, lei la bimba venuta al mondo quasi due mesi fa! Lei è SARA FUTURA, un nome che porta speranza e felicità!
L’unico grande amore!
Buona Pasqua, buona vita a te SARA FUTURA, Dio ti benedica e ti protegga ❤️
Altro gioco del tempo di Pasqua era quello di giocare a pizzetta o come altrove si diceva « a scoccelta » e in quel di Pen- ma S. Giovanni a “cioccarella” Da quanto diciamo questo giuoco era praticato in gran parte del Piceno. Si trattava dell’uovo sodo dipinto “Óu pìndu “, col quale si giuocava. I giocatori in questo caso non potevano essere più di due. Tirata la conta uno doveva «tené’ sotto» il proprio uovo, l’altro picchiava ‘(ncioccava). Si poteva incioccare, convenendo, pizzo con pizzo, fianco contro fianco ecc. L’uovo che prima cedeva era perso e andava in possesso di colui che l’aveva più resistente. Altro giuoco era quello di far correre le uova sode per una pendenza, l’uovo che prima raggiungeva la meta stabilita o andava più lontano era vincitore. Il proprietario intascava quello suo avversario.
Echi tradizionali dei fanciulli marchigiani di Giovani Ginobili maestro e scrittore a Petriolo (Macerata) Marche
La domenica delle Palme il popolo partecipava alle funzioni religiose e più specialmente alla benedizione delle palme. Tutta la campagna accorreva alla chiesa con fasci di rami di ulivi sulle spalle perché fossero benedetti. Dopo la funzione tornavano a casa; un ramoscello di palma benedetta (così si chiamava l’ulivo) veniva posto su ogni letto; questo tanto nella campagna come in città; le palme del precedente anno venivano bruciate, non gettate via. I contadini, mettevano per i campi, negli orti, in mezzo al grano seminato, ramoscelli di ulivo benedetto, perché la benedizione scendesse su tutta la fatica e ne moltiplicasse il raccolto. Intanto gli artigiani passavano pel contado in cerca d’ovi pinti; ognuno presso I propri clienti. Era dono che il contadino faceva molto volentieri.
Tratto da Costumanze marchigiane dello scrittore e maestro a Petriolo Giovanni Ginobili.
Per la domenica delle Palme sulla nostra tavola è tradizione portare un pane preparato da me, insieme ai rami d’ulivo benedetti alla messa del mattino, serve per festeggiare l’entrata di Gesù a Gerusalemme.
All’inizio della Quaresima vogliamo ricordare la pratica del digiuno che, anche tra i cristiani, si pensa inutile. Invece il digiuno e l’astinenza appartengono da sempre alla vita cristiana perché rispondono al bisogno continuo di conversione. Quale valore e quale senso ha il privarci di un qualcosa che sarebbe in sé stesso buono? La Bibbia insegna che il digiuno è di grande aiuto per evitare il peccato e tutto ciò che a esso conduce. Per questo in essa ricorre più volte l’invito a digiunare. Il digiuno è la preghiera che si esprime con il corpo. Nel digiuno la nostra preghiera si incarna e si completa in questo confessare attraverso le fibre del nostro corpo che cerchiamo Dio, che, oltre al pane, abbiamo bisogno della sua Parola (Mt 4,4).
Come digiunare
Concretamente, durante la Quaresima, basta non mangiare carne il venerdì e osservare il digiuno il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo. Il digiuno che la Chiesa indica consiste nel consumare un pasto al giorno. In questo cambiamento delle solite abitudini si vuole puntare l’attenzione sul rinunciare a qualcosa a cui si tiene per dire al Padre, anche con il proprio corpo: «Tu sei la cosa più importante per me!».
Una volta capito come orientarsi, perché non provare a vivere un giorno a settimana o un giorno ogni due settimane… digiunando con il pane e l’acqua per scoprire cosa ha da dirci il nostro corpo sui nostri attaccamenti, sulle nostre dipendenze, sulle nostre paure, sulle nostre debolezze? Per rendere questa esperienza ancora più bella suggeriamo di fare il pane che si consumerà nel giorno speciale del digiuno per riscoprire che le nostre abitudini: gesti semplici come impastare, bere, mangiare… sono abitati dall’amore di Dio.
Tratto da SHALOM
Ingredienti
Farina 0 o di farro 500 g Acqua a temperatura ambiente 375 g Lievito di birra disidratato un cucchiaino Miele 10 g Sale fino 10 g
Preparazione
Mettiamo il lievito di birra in 60 ml di acqua tiepida, uniamo la farina e il miele e impastiamo. Uniamo la restante acqua e impastiamo o nella planetaria o a mano. Una volta che i liquidi sono stati assorbiti aggiungiamo il sale. Impastiamo ancora per 10 minuti circa, dobbiamo ottenere un impasto morbido. Copriamo l’impasto con un canovaccio o mettiamolo in un sacchetto per alimenti. Lasciamo lievitare l’impasto per 16 ore in un posto fresco o se abbiamo fretta, lo mettiamo nel forno con la luce accesa.
Lavoriamo nuovamente l’impasto, stendiamolo delicatamente con le mani per formare un quadrato. Prendiamo i lembi esterni e portiamoli al centro. Ripetiamo questa operazione 4 volte. Formiamo la pagnotta e lasciamo lievitare ancora.
Mettiamo nel forno già caldo a 220 gradi la pentola di goccio con il coperchio. Lasciamola scaldare per bene, capovolgiamo la pagnotta nella pentola. Facciamo soprauna croce sul pane profonda con la lametta. Mettiamola nel forno con il coperchio e cuociamo il pane per 30. A questo punto togliamo il coperchio e proseguiamo la cottura per 20 minuti, portando il forno in modalità ventilata per ottenere una doratura. Regoliamoci con la temperatura, se dovesse scurirsi troppo abbassiamo la temperatura.
Sforniamo il pane e togliamolo dalla pentola, lasciamolo raffreddare completamente su una grata.
Questo pane può essere gustato sia a colazione con il latte o semplicemente per rispettare il digiuno, con acqua tutti i mercoledì ed i venerdì di quaresima.
Carnevale, bon compagno possi vinì tre vorde l’anno!
E questa enfatica espressione che dice come e quanto sia stato desiderato il Carnevale dai nostri padri. Non perché essi fossero dediti al passatempo ma in opposizione a quella loro vita morigerata e di lavoro per cui i nostri avi non conoscevano divertimenti se non in tempi determinati.
Altra voce , sempre del popolo piceno, si esprime:
Dopo Natà’ è sembre Carnuà’.
Dopo Natale è sempre Carnevale, mentre ufficialmente questo entrava il 17 gennaio, nella festa di San t’Antonio Abate.
V’era gran desiderio di scapricciassi un poco. Era necessità della vita. Il carnevale offriva al nostro popolo di sbizzarrirsi un poco in festini e balli, in mascherate, in ghiottonerie, non certo fatte di ricercatezze eccessive. Avevano grande parte gli scroccafusi, le frittelle ( quelle de S’Andò in particolare fatte con la massa del pane) le sfrappe, le castagnole!
Dagli scritti del nostro maestro poeta dialettale Giovanni Ginobili!
Ricordiamoci che del diman non c’è certezza ed il resto è noia!
Buon inizio di carnevale a tutti!
I nostri arancini fritti come da tradizione carnevalesca, sono ottimi anche al forno e risultano più leggeri. Si mantengono belli morbidi per tre o quattro giorni.
Don Trapè è l’oscuro scrittore della ricetta.
Provateli e mi farete sapere, se vi va, altrimenti vi ringrazio e vi saluto!
Buona vita, buoni arancini di don Trapè ❤️
Il racconto e la preparazione degli arancini.
Ingredienti
300 grammi di farina 0 o 00
Una bustina di lievito di birra disidratato o un cubetto fresco
50 grammi di zucchero
Un uovo
140/150 grammi di latte
50 grammi di burro
Un pizzico di sale
Buccia di arancia un cucchiaino
Ripieno
Buccia di due arance senza trattamenti chimici
150 grammi di zucchero
Olio di arachidi per friggere
Preparazione
Prima della pasta, prepariamo il ripieno grattando la buccia delle arancia che mescoleremo allo zucchero. Potremmo anche frullare il tutto per fare amalgamare meglio i due ingredienti.
Impastiamo la farina con il lievito, lo zucchero, l’uovo , il cucchiaino di buccia di arancia, il pizzico di sale, il latte stando attenti alla quantità che risulti giusta per ottenere un impasto morbido, lasciamo lavorare per amalgamare tutti gli ingredienti, uniamo il burro morbido poco alla volta. Continuiamo ad impastare fino a quando la pasta diventa lucida e setosa. Se è necessario uniamo un po’ di farina. Con le mani unte formiamo una palla e lasciamo lievitare fino al raddoppio nel forno con la lucetta accesa o vicino ad un termosifone.
Riprendiamo la pasta, la lavoriamo un po’ facendo delle pieghe a tre, ogni quarto d’ora per due volte. Queste servono a rendere l’impasto friabile. Ma potete non farle se non volete perdere tempo.
Stendiamo la pasta con il matterello allo spessore di 6 mm, uniamo sopra lo zucchero con la buccia di arancia. Copriamo bene la superficie ed arrotoliamo stretto a salsicciotto, pizzichiamo bene per sigillare la pasta. Tagliamo gli arancini allo spessore di un centimetro e mezzo. Sistemiamoli sulla lastra foderata di carta forno e lasciamo lievitare al caldo fino al raddoppio.
Friggiamo nell’olio di arachidi profondo, non risparmiano sulla quantità perché per gli arancini in poco olio, risulterebbero unticci. Mettiamone tre o quattro alla volta, girandoli spesso fino a vederli dorati.
Per cuocerli in forno, basta che questo sia a 180 gradi e lasciamoli fino a quando risultino dorati.
Per questa ricetta ringraziamo sempre don Trapè sconosciuto personaggio della nostra meglio gioventù!
Buon inizio di carnevale!
Belli e profumatiArancini al forno buoni e leggeriArancini in lievitazione
Sono quasi finite le feste natalizie, è già cominciato un altro anno, non diciamo come sarà perché nessuno ha la palla di vetro, aspettiamo che arrivi L’EPIFANIA che tutte le feste si porta via, poi chiudiamo con gli stravizi alimentari e sarà quel che sarà!!!! Tanto del diman non c’è certezza ed il resto è noia!
Allora la mia màttara ossia la madia di quasi cent’anni fa di nonna Margarita, ha il piano, pieno, pieno di pezzi di dolci natalizi. Ci sono il panettone, lu crustingu, i biscotti di spezie, il pan pepato ed il pandoro. Via via, dovranno essere smaltiti in un modo o nell’altro.
La migliore occasione per questo periodo natalizio ormai agli sgoccioli, è usare il pandoro per fare un dolce che piaceva tanto ai miei quando erano piccoli. La cheesecake cotta di formaggio. Allora usavo la Filadelfia, ma ora ho optato per la ricotta che stava per scadere. La cheesecake cotta di origine americana, si compone di una base di biscotti croccante oltre la crema di formaggio più famosa al mondo, una volta cotta la si può arricchire di cioccolato, frutti di bosco o caramello o con panna acida come vuole la tradizione.
Lo spunto mi è arrivato pensando a quei tempi sereni e a quel dolce che gustavamo tutti insieme. Cambia solo la base che è fatta di uno strato di fette di pandoro che la rendono più ricca e burrosa e nella crema di ricotta ci sono pezzetti di torrone bianco classico di Camerino.
Intanto vi auguro una buona vita, un buon anno ed una buona cheesecake di ricotta al torrone bianco di Camerino ❤️
Seguite il racconto e se vi va, rifate la cheesecake di ricotta. Ne vale la pena per quanto è buona e sarà l’occasione per finire i testi di pandoro o di panettone, sì, anche questo può essere buono per fare la base.
Ingredienti
450 grammi di ricotta
100 grammi di zucchero
Due uova e due albumi
80 grammi di latte io intero
50 grammi di farina 00
Limoncello per la crema di ricotta e per inzuppare il pandoro
Torrone bianco classico di Camerino o di un’altra marca (a piacere)
Pandoro a fette tante quante ne servono per coprire un fondo di uno stampo di cm 21/22
Preparazione
Tagliamo il pandoro a fette di due centimetri e le inzuppiamo con il limoncello.
Lavoriamo la ricotta con lo zucchero, le due uova e gli albumi, uniamo il latte, il limoncello, mescolando uniamo la farina e alla fine il torrone bianco classico tagliato a pezzetti. Versiamo il composto sopra le fette di pandoro che abbiamo sistemato nello stampo e mettiamo a cuocere in forno statico a 170 gradi per un’ora, o poco più! Dobbiamo regolarci, quando la superficie diventa ambrata e consistente spegniamo il forno e lasciamo che il dolce si freddi prima di servirlo.
Il dolce è più buono il giorno dopo mantenuto in frigo.
Se ci capita di avere dei frutti di bosco, decoriamoci la superficie e spolveriamo di zucchero a velo!
Non aspettiamo il Natale prossimo per fare la cheesecake al forno di ricotta e torrone di Camerino! ❤️
Nella quarta e ultima settimana di Avvento, appare in cielo un angelo con il mantello viola. L’angelo viola passa su tutta la Terra tenendo con il braccio sinistro una cetra d’oro. Manca poco all’arrivo del Signore. Il colore viola è formato dall’unione del blu e del rosso, quindi il suo mantello rappresenta l’amore vero, quello profondo, che nasce quando si sta in silenzio e si ascolta la voce del Signore dentro di noi.
Eccoci all’ultima accensione della candela di Avvento, manca la principale, quella bianca che accenderemo domenica prossima giorno di Natale!
Buona vita, buon proseguimento del cammino di Avvento ❤️