pasqua

L’ÓU PÌNDU

L’Óu Pìndu (uovo dipinto pasquale)

« A pizzetta »O ” a ciocchetta” o a scoccetta

Altro gioco del tempo di Pasqua era quello di giocare a pizzetta
o come altrove si diceva « a scoccelta » e in quel di Pen-
ma S. Giovanni a “cioccarella” Da quanto diciamo questo giuoco era praticato in gran parte del Piceno.
Si trattava dell’uovo sodo dipinto “Óu pìndu “, col quale si giuocava.
I giocatori in questo caso non potevano essere più di due. Tirata la conta uno doveva «tené’ sotto» il proprio uovo, l’altro picchiava ‘(ncioccava).
Si poteva incioccare,
convenendo, pizzo con
pizzo, fianco contro fianco ecc. L’uovo che prima cedeva era perso e andava in possesso di colui che l’aveva più resistente.
Altro giuoco era quello di far correre le uova sode per una
pendenza, l’uovo che prima raggiungeva la meta stabilita o andava più lontano era vincitore. Il proprietario intascava quello
suo avversario.

Echi tradizionali dei fanciulli marchigiani di Giovani Ginobili maestro e scrittore a Petriolo (Macerata) Marche

Buona vita, buon proseguimento di quaresima ❤️

IL PANE DEL DIGIUNO QUARESIMALE

Digiuno: una pratica inutile?

All’inizio della Quaresima vogliamo ricordare la pratica del digiuno che, anche tra i cristiani, si pensa inutile. Invece il digiuno e l’astinenza appartengono da sempre alla vita cristiana perché rispondono al bisogno continuo di conversione.
Quale valore e quale senso ha il privarci di un qualcosa che sarebbe in sé stesso buono? La Bibbia insegna che il digiuno è di grande aiuto per evitare il peccato e tutto ciò che a esso conduce. Per questo in essa ricorre più volte l’invito a digiunare. 
Il digiuno è la preghiera che si esprime con il corpo. Nel digiuno la nostra preghiera si incarna e si completa in questo confessare attraverso le fibre del nostro corpo che cerchiamo Dio, che, oltre al pane, abbiamo bisogno della sua Parola (Mt 4,4).

Come digiunare

Concretamente, durante la Quaresima, basta non mangiare carne il venerdì e osservare il digiuno il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo. Il digiuno che la Chiesa indica consiste nel consumare un pasto al giorno. In questo cambiamento delle solite abitudini si vuole puntare l’attenzione sul rinunciare a qualcosa a cui si tiene per dire al Padre, anche con il proprio corpo: «Tu sei la cosa più importante per me!».

Una volta capito come orientarsi, perché non provare a vivere un giorno a settimana o un giorno ogni due settimane… digiunando con il pane e l’acqua per scoprire cosa ha da dirci il nostro corpo sui nostri attaccamenti, sulle nostre dipendenze, sulle nostre paure, sulle nostre debolezze?
Per rendere questa esperienza ancora più bella suggeriamo di fare il pane che si consumerà nel giorno speciale del digiuno per riscoprire che le nostre abitudini: gesti semplici come impastare, bere, mangiare… sono abitati dall’amore di Dio.

Tratto da SHALOM

Ingredienti

Farina 0 o di farro 500 g
Acqua a temperatura ambiente 375 g
Lievito di birra disidratato un cucchiaino
Miele 10 g
Sale fino 10 g

Preparazione

Mettiamo il lievito di birra in 60 ml di acqua tiepida, uniamo la farina e il miele e impastiamo. Uniamo la restante acqua e impastiamo o nella planetaria o a mano. Una volta che i liquidi sono stati assorbiti aggiungiamo il sale. Impastiamo ancora per 10 minuti circa, dobbiamo ottenere un impasto morbido. Copriamo l’impasto con un canovaccio o mettiamolo in un sacchetto per alimenti. Lasciamo lievitare l’impasto per 16 ore in un posto fresco o se abbiamo fretta, lo mettiamo nel forno con la luce accesa.

Lavoriamo nuovamente l’impasto, stendiamolo delicatamente con le mani per formare un quadrato. Prendiamo i lembi esterni e portiamoli al centro. Ripetiamo questa operazione 4 volte. Formiamo la pagnotta e lasciamo lievitare ancora.

Mettiamo nel forno già caldo a 220 gradi la pentola di goccio con il coperchio. Lasciamola scaldare per bene, capovolgiamo la pagnotta nella pentola. Facciamo soprauna croce sul pane profonda con la lametta. Mettiamola nel forno con il coperchio e cuociamo il pane per 30. A questo punto togliamo il coperchio e proseguiamo la cottura per 20 minuti, portando il forno in modalità ventilata per ottenere una doratura. Regoliamoci con la temperatura, se dovesse scurirsi troppo abbassiamo la temperatura.

Sforniamo il pane e togliamolo dalla pentola, lasciamolo raffreddare completamente su una grata.

Questo pane può essere gustato sia a colazione con il latte o semplicemente per rispettare il digiuno, con acqua tutti i mercoledì ed i venerdì di quaresima.

Male non ci farà.

Buona vita, buon pane del digiuno quaresimale 🙏❤️

LA CRÉSCIA DI DAMONE E CATARÌ

Allepoca dei miei nonni Damone e Caterina fornai unici in quel piccolo paese che si chiama Petriolo, usava specialmente d’estate preparare la créscia rossa come la chiamavamo noi piccoli nipoti.

Eravamo tanti, insieme ai nostri compagni, a giocare nel terrazzino della nostra casa in via Umberto primo sulla strada principale del paese. Il terrazzino lungo e stretto, serviva per giocare a campana, o a fare le mamme delle nostre bambole di pezza con la testa di coccia. Cucinavamo usando la terra rossa scavata sulla scarpata del campo della Rimembranza, ora giardini pubblici. Qualche volta capitava di cucinare per davvero qualcosa, era la crema pasticcera fatta con le bustine di Orocrema, un preparato dove non servivano le uova.

Facevamo il rinfresco per festeggiare il battesimo delle nostre bambole che portavamo giù alla chiesa delle Grazie e venivamo scacciate dal povero curato di campagna don Federico appena mettevamo piedi all’ingresso che dava sulla strada che portava alla collina e alla selva di Bandini (abbadia di Fiastra) come la chiamavano tutti allora.

Tornavamo a casa a gambe levate impaurite e tremanti con il fiato in gola.

Ci aspettava la crema che mangiavamo nelle tazzine colorate, verde, giallo e rosso! Eravamo così felici che ci sembravano vere le nostre bambole!

La créscia che facevano i miei nonni, era fatta con la pasta del pane, le massaie la andavano a comprare ogni volta che la volevano fare, lo stesso impasto serviva pure per fare le frittelle, le cresce che poi friggevano nello strutto tenuto gelosamente da parte nel tempo della preparazione della pista (l’uccisione dei maiali).

La créscia veniva condita con l’olio di casa, un bel giro generoso con l’aggiunta dei pomodori rossi, rossi maturati al caldo tanto caldo, del sole dell’estate petriolese.

La tradizione dei miei nonni continua, nonna Catarì, parlava poco, ma faceva molto per la sua famiglia ed i parenti, il pane era assicurato per tutti, così come tutti i dolci e le preparazioni tradizionali cominciando da Natale fino a Pasqua.

Il resto è raccontato molto in questo diario di ricette e racconti della nostra famiglia.!

Le nostre crésce sono con la pasta madre e a lunga lievitazione. Assomigliano a quelle dei miei nonni, sono croccanti e non hanno niente a che fare con le pizze mosce e salate che molte volte si mangiano in giro!

Scusateci se pecchiamo un po’ in orgoglio di nipoti d’arte! Ci viene da ridere, ma in fondo mangiare una buona cosa fa star decisamente bene!

A presto!

Buona vita, buona créscia dei miei nonni Damone e Catarì ❤️❤️



I SEPOLCRI

Quella di “fare i Sepolcri” è un’antica tradizione di celebrazione del Giovedì Santo che ancor oggi trova un discreto seguito tra i fedeli; consiste nel fare visita ad almeno tre diversi altari, dopo la Messa in Coena Domini fino al Venerdì Santo mattina, fermandosi in meditazione e preghiera.

In tante parrocchie ad inizio Quaresima, ogni bambino del catechismo ha in dono dalla tutto il necessario per far crescere il grano, (ma si possono usare le lenticchie) da portare il martedì Santo nella propria zona Pastorale ( ognuno con il sottovaso di un colore identificativo della propria zona) che verrà portato nella Chiesa Made S.Maria Assunta, dove, poi, sarà allestito il giovedì Santo

Storia

La denominazione “Sepolcri” nasce dall’errata denominazione popolare degli Altari della Reposizione, che venivano attribuiti a memoria del Sepolcro di Cristo anziché, come in realtà è, a luogo di conservazione del Pane Eucaristico, segno sacramentale di Gesù Vivo e Risorto, dalla Messa in Coena Domini alla solenne funzione liturgica del Venerdì Santo in cui si commemora la morte di Gesù Cristo.

Tradizione

In simbologia del buio della morte in contrapposizione a Gesù, Pane di Vita, gli Altari della Reposizione venivano “oscurati” coprendo il Crocifisso (inizialmente, poi estendendo la cosa alle immagini sacre e/o alla pala d’Altare) con drappi del colore viola (proprio dei paramenti liturgici del Tempo di Quaresima) e addobbati in maniera molto curata, generalmente impiegando fiori bianchi insieme a chicchi di grano germogliati al buio.

La tradizione popolare era originariamente di visitare e pregare su almeno sette altari, sette come il numero biblico per eccellenza (le virtù; i peccati capitali; i doni dello Spirito Santo; i Sacramenti; i Sigilli la cui rottura annuncerà la fine del mondo, seguita dal suono di 7 trombe suonate da 7 Angeli, quindi dai 7 Portenti e infine dal versamento delle 7 Coppe dell’ira di Dio nell’Apocalisse di San Giovanni; il numero delle Chiese da visitare per ottenere l’indulgenza negli Anni Santi); in tempi più recenti questo numero si è ridotto a tre, a simboleggiare la Divina Trinità.

Pertanto, questa tradizione, seppure riportata in modo erroneo, continua a portare devote visite alle nostre Chiese e viene quindi tramandata nel tempo; sarebbe bene illustrare il significato vero della preparazione dell’Altare della Reposizione e così esaltare l’importanza all’Adorazione Eucaristica, non solo per il Giovedì Santo ma in generale.

La Pasqua per tutti i credenti è un momento di riflessione e tradizione.

L’Italia è un paese ricco di storia e di storie. Storie da raccontare e tramandare che si uniscono a piccoli gesti che di anno in anno sono arrivati fino a noi. Uno di questi è quello della preparazione dei germogli di grano che vengono portati in chiesa la sera del mercoledì santo e che adornano i Santi Sepolcri.

La tradizione vuole che questi germogli debbano essere chiari, di un colore giallino, quasi simile a quello del grano, dal quale si trae la farina e quindi l’ostia che simboleggia il corpo di Cristo.

Per rispettare questa tradizione sarebbe bello preparare i germogli anche in ogni casa per il triduo pasquale.

I germogli si possono ottenere anche dalle lenticchie più facilmente reperibili. Se sistemati in ciotole, possono abbellire la tavola del pranzo di Pasqua!

Buona Pasqua!

ÓU PÍNDU (uovo dipinto pasquale)

« A pizzetta »O ” a ciocchetta” o a scoccetta

Altro gioco del tempo di Pasqua era quello di giocare a pizzetta
o come altrove si diceva « a scoccelta » e in quel di Pen-
ma S. Giovanni a “cioccarella” Da quanto diciamo questo giuoco era praticato in gran parte del Piceno.
Si trattava dell’uovo sodo dipinto “Óu pìndu “, col quale si giuocava.
I giocatori in questo caso non potevano essere più di due. Tirata la conta uno doveva «tené’ sotto» il proprio uovo, l’altro picchiava ‘(ncioccava).
Si poteva incioccare,
convenendo, pizzo con
pizzo, fianco contro fianco ecc. L’uovo che prima cedeva era perso e andava in possesso di colui che l’aveva più resistente.
Altro giuoco era quello di far correre le uova sode per una
pendenza, l’uovo che prima raggiungeva la meta stabilita o andava più lontano era vincitore. Il proprietario intascava quello
suo avversario.

Echi tradizionali dei fanciulli marchigiani di Giovani Ginobili maestro e scrittore a Petriolo (Macerata) Marche

Pasqua 2021

Auguri di buona Pasqua ai nostri fratelli ortodossi che festeggiano oggi la resurrezione di Gesù!

Colgo l’occasione per raccontare la tavola ed i piatti del giorno della nostra Pasqua dato che prima non ho avuto il tempo per farlo.

Ho decorato la nostra tavola con una tovaglia ricavata da un tessuto antico di lino con inserti di uncinetto, ho fatto i segna posti e le coroncine sotto piatti di pasta di pane intrecciati di fiori ed erbe aromatiche.

I nostri piatti!

Antipasti pasquali di salumi e créscia de casció di Pasqua, ciausculu, salame e pecorino fresco, la coratella d’agnello e l’agnello pasticciato di uova e mindùccia, la frittata co la mindùccia.

Per primi, i raviolini di carne in sugo di pomodorini freschi, le mezzelune di formaggio cremoso e verdure.

Per secondo, l’agnello arrosto e patate, il filetto di maialino agli agrumi con crema di carote all’aceto balsamico di Modena.

Asparagi e zucchine grigliate!

Per dolci, la nostra colomba a lievitazione naturale con crema di cioccolato fondente e mascarpone, la créscia dóce di Pasqua e l’uovo di Pasqua con le fragole.

Tutto questo ben di Dio, per tre persone, la famiglia non era al completo perché nel frattempo qualcuno se n’è andato avendo formato una propria famiglia.

Ma la vita va avanti, ed è naturale che succeda e che ci si trovi a tavola non più come era prima!

Buona Pasqua cari fratelli ortodossi e buona Pasqua a noi perché ci troviamo ancora nel periodo pasquale!

Buona vita❤️

Plum-cake di cioccolato fondente e bianco con le banane

La Pasqua è passata, molti dolci tradizionali sono spariti in un batter d’occhio, può capitare che restino pezzi di cioccolato fondente o al latte che non sappiamo come smaltire. Il cioccolato dopo un po’ perde le sue qualità e diventa rancido. Lo si può mettere in frigo ma pure lì, dopo un po’ cambia le sue qualità organolettiche.

Usiamo allora subito per i dolci, come questo buonissimo plum-cake nel quale abbiamo messo anche le banane molto mature.

Ve lo raccontiamo subito come si fa!

Ingredienti

170 grammi di cioccolato fra bianco, al latte e fondente

170 grammi di banane mature

100 grammi di farina integrale o di tipo uno e germe di grano duro

200 grammi di farina 00

50 grammi olio di girasole

50 grammi di zucchero, poco, data la dolcezza della cioccolata bianca e al latte

100 grammi di latte

Un uovo di galline felici

Mandorle tritate un cucchiaio

Un cucchiaino di cremore di tartaro

1/2 cucchiaino di bicarbonato

Preparazione

Frulliamo le banane insieme ai cioccolati sciolti a microonde, uniamo lo zucchero, l’uovo, l’olio di girasole e il latte, mescoliamo bene ed aggiungiamo le farine con il cremore ed il bicarbonato, infine le mandorle tritate.

Versiamo l’impasto nello stampo foderato da plum-cake di carta forno e mettiamo a cuocere a 170/180 gradi per circa 45/50 minuti. A metà cottura copriamo la superficie se sta scurendo troppo. Spegniamo il forno e lasciamo freddare per un po’. Sformiamo il dolce e lasciamo che si asciughi sopra una grata!

Al momento di servire, spolveriamo con lo zucchero a velo!

Buona vita, buon plum-cake di cioccolato e banane ❤️

Tempo di Pasqua a Petriolo

Tempo di Pasqua a Petriolo, pillole di tradizioni popolari pasquali nel paese di Giovanni Ginobili

Senza campane

Subito dopo il “Gloria” dell’ultima messa dei Sepolcri del giovedì Santo venivano legate le campane affinché non suonassero e sarebbero state sciolte al “Gloria” della messa di sabato Santo, in un tripudio di suoni. Fino a quel momento le messe venivano annunciata dai ragazzini che, a due a due, partendo da piazza giravano gridando “Oooh! Chi vò’ vinì’ a la messa là lu Succùrsu (o jó le Grazie o a Sa’ Mmartì’, a seconda del luogo della celebrazione) eccola prima (o la seconda o la terza, s’intende la chiamata e la terza era l’ultima)!” e sbattendo le gnàcchere, che sono tavole spesse di legno robusto, con adatta impugnatura, recante nelle due facce due maniglie che fungevano da fragorosi percussori metallici.

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Créscia de casció di Pasqua (pizza di formaggio pasquale)

La créscia de càscio de Nella

Premessa: ce l’hai lu callaréllu? Perché se non ce l’hai, adè mèjo che lasci pèrde’!

Sinti, cocca: sbatti, dentro un piatto che ce cunnìsci la pasta, 4 uova con un pizzico de sale, un scacchíttu o due de lèvetu, un etto de parmigiano, un etto de pecorino sìcco, un pizzico de pepe, una grattata de noce moscata (me raccomanno, devi sbatte bbè’!), mettece u’ mmecchjé’ d’ójo d’oliva, u’ mmecchjé’ de latte (mmischia vè’ te dico!), bùttece quànda farina pìja quello che si’ sbattuto e ppó’ ‘mbasta per bè’ sopra la spianatóra.

Quànno si’ ffinito de ‘mbastà’, fa’ du’ palle (che tte rridi! che ssi’ capito!) e le mitti dentro li callarìtti.

Me reccommànno che non ce devi métte’ la carta forno, no, non vàla ve, la créscia non vène liscia: li callarìtti li devi ógne per bè’ có ll’ójo e li devi infarinà’.

E ppó’ dopo le palle che ssi’ fatto (ma che ridi, oh!) li cùpri có’ le copertèlle de lana per falle levetà’ per bè’. Mettele a lo callùccio e nó’ je fa’ pijà’ ll’aria, che sennò te rva jó e dopo te tocca de vuttàlle via.

E ppó’ ‘ppìccia lu furnu, mìttulu a 150 gradi (non deve èsse’ tàndo càllu!), piano piano le mìtti a còce’, je cce vorrà tre quarti d’ora (règolete tu, le vìdi quànno adè dorate!).

Ah! Me so scordata, cocca, de dìtte che prima de méttele a còce’, le devi ‘ndorà’ có ll’óu sbattutu.

Ecco come le facìo io quànno stavo vè’.

Ecco come è venuta senza pesare la farina, ma regolandomi con la morbidezza degli ingredienti! C’è solo una differenza, la lunga lievitazione fatta tutta la notte cosa che si può fare se si usa meno lievito.

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Créscia de cáscio di Pasqua (pizza di formaggio pasquale)

Qui, in questo diario di cucina, ci sono diverse ricette per fare la créscia o pizza de casció di Pasqua!

Questo è un altro modo, che permette di risparmiare tempo, per la presenza della pasta di pane, la quale se non si ha voglia di farla, si può comprare dal fornaio.

Il resto si aggiunge a casa!

Io ho preferito farne due, ma si poteva farne una più grande.

Sono due piccole pizze di formaggio a lievitazione naturale!

Allora come l’ho fatte?

Ieri sera avevo preparato l’impasto per le pizze, un tot di farina e lievito di riporto, acqua e poco sale, io ne metto poco. Stamattina aveva lievitato come si deve. Ho pesato tutto, ho tolto quello che serviva per tre pizze, l’altro l’ho usato per la créscia de càscio come facevano i miei nonni Damone e Caterina.

All’impasto, pesato, 600 grammi, ho unito un cucchiaino di lievito di birra disidratato per rafforzare la lievitazione, due uova sbattute, ed essendo venuto troppo morbido, ho aggiunto 100 grammi di farina 0, 100 grammi di latte. Una volta ben incordato, ho unito i formaggi. 100 grammi di pecorino secco, 70 grammi di pecorino fresco, 50 grammi e parmigiano reggiano, 50 grammi di cubetti di emmentaler, noce moscata, niente pepe perché per me è veleno, buccia di limone.

Finito di impastaste tutto, ho fatto lievitare fino al raddoppio e fatto le pieghe.

Ho pirlato, fatto due palline e rimesse a lievitare negli stampo, unti e foderati di carta forno. Ancora una volta a lievitare fino a quando, premendo con un dito sulla superficie, il segno è tornato su lentamente. Prima di infornare, ho spennellato la superficie con un uovo sbattuto. Ho messo a cuocere a 170/180 gradi per quasi un’ora. Ho coperto la superficie con un foglio di alluminio a metà cottura!

Un lavoro un po’ lungo, ma che dà molta, molta soddisfazione.

Ora, questo è il risultato!

Buona vita, buona créscia de casció di Pasqua! ❤️