Ventinovesimo giorno di reclusione.
Non c’è tempo migliore per dar fondo al surgelatore, una fatica non da poco, pezzo dopo pezzo, si tira fuori, si controlla, si scarta se c’è qualcosa da buttare, si cucina ciò che sta per scadere.
C’era il cinghiale che cucinato in bianco stava bene con le pappardelle, ma per farle c’era bisogno di alzarsi presto, cosa che a me non passa nemmeno per la mente.
Di questo tempo, non si chiude un occhio la notte. Allora? Spaghetti o così o cosà!
Per cuocere la carne di cinghiale, bisogna metterci tempo e pazienza. Dopo averlo tagliato a pezzetti, si deve farli frollare nel vino rosso con tutti gli odori. Alloro, cipolla, sedano, carote, erbe aromatiche bacche di ginepro. Si lascia così tutta la notte, la mattina, si tirano su i pezzi dal vino, si mettono a rosolare nell’olio extravergine di oliva, si toglie l’acqua che tira fuori la carne per evitare che questa abbia sapore troppo selvatico. Si rimette olio extravergine di oliva ed ancora a rosolare insieme a tutti gli odori della frollatura e alla carne macinata di vitello.
Attenzione non bisogna usare il vino nel quale era stato a bagno risulterebbe forte di sapore e di odore.
Una volta bello rosolato, si finisce la cottura con acqua o brodo caldo.
A parte cuocere le pappardelle e condirle con il cinghiale e parmigiano reggiano.
Buona vita, buone pappardelle al ragù di cinghiale. ❤️