
I SEPOLCRI GIOVEDÌ SANTO


La ricotta nel mio frigo non deve mancare mai, mi piace molto e la uso per fare molti piatti sia dolci che salati, ma secondo me, c’è un problema, non è più quella di una volta.
Come descrivere la bontà di una ricotta antica che porto nel cuore? Non credo sia possibile, forse perché ritengo le cose di prima uniche e ineguagliabili, l’industria alimentare pare che sforni tutto uguale e per mancanza di tempo cuciniamo senza ricercare i sapori di una volta.
La ricotta di oggi non è certamente come quella del pastore “Righetto”, dell’abbadia di Fiastra. Quando veniva a trovarci non mancava mai di portarcela in regalo, lui geloso delle sue pecorelle, ci obbligava a spargere il sale sopra i piatti dov’era stata prima la ricottina calda calda……il sale lo leccavano le sue pecorelle e guai a non fare questo gesto!!! Poteva andare a male la sua ricotta!
Righetto arrivava con il prezioso regalo costudito gelosamente dentro un fagotto fatto da un fazzoletto di cotone a scacchi blu e bianco, che custodiva due bianchi piatti, uno fondo dov’era la ricotta e l’altro piano che la ricopriva. Il fazzoletto era legato strettamente con un nodo fatto con i suoi quattro angoli. Questo tipo di contenitore era la borsa della spesa di tante massaie, che la usavano per ogni tipo di genere da acquistare sia al mercato settimanale che nelle botteghe del paese.
Una cosa curiosa, lo stesso fazzoletto serviva da contenitore di piatti e suppellettili vari, quando i reduci ed amici dei combattenti delle due guerre si riunivano per ricordare e consumare ogni quattro novembre un pranzo collettivo.
Dimentichiamoci il tempo che fu e raccontiamo la preziosa ricetta di oggi.
Questo meraviglioso dolce che vado a descrivere è una creazione di una gentile blogger che seguo con passione su Instagram, si chiama Alessandra Giambertone detta Chicca cioè @chicckitchen. Mi sono permessa di scriverle per avere la sua ricetta che gentilmente mi ha donato raccomandandomi di non divulgarla troppo.
Posso scriverla qui che tanto non ci sono tante visite nel mio piccolo blog (diario di una mamma per la sua famiglia), chi volete che segua una anonima nonna appassionata di cucina?
Copio ed incollo così come mi è stata data la ricetta.
Fondant Ricotta & Cioccolato aromatizzato all’arancia Chicckitchen
500 g Ricotta cremosa
80g Zucchero
50 g Maizena
150g Cioccolato Fondente al 72%
1 Uovo di gallina felice
1 Arancia non trattata ( scorza)
Scorzette candite di Arancia a sentimento
Bacca di Vaniglia
Tutto in una Ciotola
Cominciando con la ricotta, poi l’uovo e la Maizena amalgamando bene
A parte grattugiare la scorza d’arancia e unirla allo zucchero lavorandolo per ottenere una sabbia aromatizzata e unirla poi al composto
Tritare finemente le scorzette candite a coltello e aggiungerle
Aprire la bacca di Vaniglia e unire al composto il contenuto
Unire anche il cioccolato dopo averlo tritato grossolanamente e amalgamare
Foderare uno stampo 20x 20 o una tortiera rotonda con carta forno o imburrandolo generosamente e versare il composto lisciando la superficie con una spatola
Infornare a forno caldo e ventilato a 180’ per 35-40 min circa, fare la prova stecchino e se necessario prolungare la cottura di qualche minuto ( ogni ricotta è diversa e diverso è il suo grado di umidità)
Sfornare e lasciar intiepidire in modo che si compatti e poi tagliare a quadrotti e servire spolverando con abbondante zucchero a velo.
Chicckitchen
❣️
Per il mio dolce ho trovato la ricotta che era poco cremosa, quindi ho aggiunto il succo di un’arancia. Bisogna regolarsi in base al tipo che si compra.
Se a Pasqua avanzeranno le uova di cioccolato fondente, questa è l’occasione per farci questo dolce.
Buona vita, buon fondant Ricotta & Cioccolato aromatizzato all’arancia ❤️

La domenica delle Palme il popolo partecipava alle funzioni religiose e più specialmente alla benedizione delle palme. Tutta la campagna accorreva alla chiesa con fasci di rami di ulivi sulle spalle perché fossero benedetti. Dopo la funzione tornavano a casa; un ramoscello di palma benedetta (così si chiamava l’ulivo) veniva posto su ogni letto; questo tanto nella campagna come in città; le palme del precedente anno venivano bruciate, non gettate via. I contadini, mettevano per i campi, negli orti, in mezzo al grano seminato, ramoscelli di ulivo benedetto, perché la benedizione scendesse su tutta la fatica e ne moltiplicasse il raccolto. Intanto gli artigiani passavano pel contado in cerca d’ovi pinti; ognuno presso I propri clienti. Era dono che il contadino faceva molto volentieri.
Tratto da Costumanze marchigiane dello scrittore e maestro a Petriolo Giovanni Ginobili.
Per la domenica delle Palme sulla nostra tavola è tradizione portare un pane preparato da me con l’olio extravergine d’oliva benedetto, insieme ai rami d’ulivo benedetti alla messa del mattino, per festeggiare l’entrata di Gesù a Gerusalemme.

Dolce tradizionale pasquale delle Marche
Manca poco alla s. Pasqua, i preparativi fervono, le massaie di una volta ci tenevano a rimettere in ordine le case, imbiancandole, lavando tende e biancheria per sentire l’odore di fresco e pulito. Inoltre la settimana che precedeva la settimana santa, si dava inizio alle svariate preparazioni culinarie sia dolci, che salate da portare in tavola il giorno della festa di Pasqua.
Da noi marchigiani si usa ancora fare “li caciù de pecorì” un calcione tipico dolce e salato e fresco per il ripieno fatto con il pecorino fresco, lo zucchero, il limone e la vaniglia. Si mangia a colazione, a fine pasto e a merenda accompagnato da un vino liquoroso come il nostro vino cotto di Loro Piceno.
Buona vita, buona santa Pasqua ❤️
Qui trovate la ricetta


Il pane non rompe il digiuno, solo o accompagnato a semplici cibi può essere un sano pasto

Perché ora bisogna andare in giro a cercare il meglio che poi non lo è? Beh, pensieri di una antica nonna!
Buona vita, buone peschette alla crema pasticcera ❤️
Qui la ricetta

Buona festa della Luce!
Nella celebrazione della messa della Purificazione di Maria Vergine, il parrocco dona ad ogni fedele una candela benedetta come segno di una Luce perennemente accesa per non perdere la fede. Una volta era più o meno grossa a seconda delle decime che pagava e della classe sociale cui apparteneva il parrocchiano. La candela portata a casa, era conservata gelosamente e veniva appesa sopra il letto insieme alle immagini sacre. Era un brutto segno se la candela si rompeva, o veniva accesa senza un’occasione eccezionale e peggio ancora perderla. La candela benedetta preservava le persone dai mali, le case dai dalle calamità e dai pericoli. Si diceva che servisse a far luce nelle tenebre scese per castigo divino sulla terra. Allora nessun lume arderà fuorché la candela benedetta e chi non la possederà dovrà stare al buio più profondo fino a non si sa quando. La candela benedetta si faceva ardere nelle grandi calamita naturali, i contadini l’accendevano quando una grandinata eccezionale stava per mandare in fumo le speranze delle loro fatiche, insieme alla preghiera delle litanie dei Santi, il lume della candela benedetta donava una speranza dell’intervento della bontà divina. Così negli ultimi istanti della vita, ogni persona di nostra terra, sul letto del suo ultimo giorno terreno, teneva in mano la candela benedetta che le recava la luce della fede.
Dalla Candelora ha origine un noto proverbio che pretende darci l’annuncio della fine dell’inverno ma………condizionatamente:
Cannelora: dell’immerno sémo fòra;
se ce dà sòle solella
c’è quaranda dì d’inverno
se ce negne e se ce pioe
ce ne sta quarandanove.
O arda o vassa l’invernàta è fino a Pasqua.
Tratto da Costumanze marchigiane di Giovanni Ginobili.


