Una ricetta tanto antica e tanto buona che per la festa dei Morti nelle nostre case a Petriolo, non può mancare.
Tanto più in là non è usuale preparare questo saporito piatto, però grazie a CARLO NATALI dell’orastrana, qualche chilometro in più lo sta facendo diventando così più conosciuto.
Vale la pena provare a farlo, vi stupirà di certo.
LA MADONNA DELLA MISERICORDIA FA RITORNO AL SANTUARIO DOPO NOVE ANNI. A CAUSA DEL TERREMOTO ERA STATO CHUSO PER LE LESIONI RIPORTATE
Venuta d’ Abruzzo, Sei madre, sei stella, Speranza, mercè. Il santo fervore Che aleggia, Maria, Non senti e l’amore Che brucia per te ?..
Oh, quanti tesori Donasti al paese !…. Da mali, da orrori Per te ei scampò. Proteggi, Regina, Ognor questa terra; Profondi, o Divina, Di grazia ogni ben
Con gaudio celeste, Che infiamma, che innalza, Che ogni anima investe Di un lembo di ciel, Un’aurea corona Di gemme soffusa Quest’oggi ti dona Un popol fedel.
Inno per l’Incoronazione della Madonna della Misericordia di Petriolo composto nell’Agosto 1946 dal Maestro Giovanni Ginobili.
Il Maestro Giovanni Ginobili (Petriolo 1892 – Macerata 1973), ci ha lasciato diverse pubblicazioni stampate a spese proprie pur di tramandarci il dialetto, usi, costumi e leggende.
OGGI POMERIGGIO LA MADONNA DELLA MISERICORDIA FINALMENTE HA VARCATO LE PORTE DEL SANTUARIO A LEI DEDICATO CHE SI TROVA A PETRIOLO IN PROVINCIA DI MACERATA MARCHE
Emozione e commozione grandissime
Un ringraziamento oltre a tutti quelli che hanno saputo fare questo grande lavoro, va a Dio che ci ha fatto dono di vivere e trasmettere questo meraviglioso momento!
Buona vita, buon cammino insieme alla Nostra Mamma Celeste ❤️
Lu vecchió originale non stava bene, ha passato la festa di S. Andò rannicchiato sul pagliericcio, chissà che pena avrà avuto per il mancato giro a portare mandarini e colori ai suoi amati bimbi!
È andata ormai, noi gli auguriamo che guarisca presto e possa tornare presto a fare lu vecchió il prossimo anno.
Abbiamo sostituito lui con lu vecchió trovato per strada, barba e capelli bianchi senza tabarro, aveva un sacco di yuta quasi vuoto. Quindi o lui o niente per Ettore e Sara Futura.
Nonna Anna Maria non l’ha lasciato andare a stomaco vuoto, un dolce che sa di casa e di festa gli ha fatto mangiare senza tanti complimenti e sceneggiate, una fetta a lui ed una a tutti.
Burro, zucchero di canna, latte, tanta cannella, uova di galline felici, farina e lievito.
Ciao, ciao vecchió e nuovo vecchió.
Questa è la ricetta del dolce de lu vecchió.
Ingredienti
125 g di burro morbido
120 g di zucchero
cannella
3 uova (taglia M (temperatura ambiente)
120 ml di latte (temperatura ambiente)
225 g di farina multiuso
1/2 cucchiaino di lievito in polvere
1 pizzico di sale
buccia di arancia
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
Per il ripieno alla cannella:
50 g di zucchero di canna
1/2cucchiaino di cannella
1 cucchiaino di farina
Buccia di arancia
30 g di burro fuso
per spolverare:
• Zucchero a velo
Preparazione
1. Preriscaldare il forno a 180 ° statico o se ventilato a 160 ( regolarsi con il proprio forno)
Lavoriamo il burro morbido con lo zucchero, uniamo un uovo alla volta, la cannella, la buccia di arancia un pizzico di sale, il latte ed infine la farina con il lievito.
Per il ripieno
In una ciotola lavoriamo il burro morbido con lo zucchero di canna, la buccia di arancia, la farina e la cannella.
Foderiamo uno stampo da plum-cake con la carta forno, versiamo tre quarti della metà del composto, lasciando cadere sopra
la crema al burro con la cannella che abbiamo lavorato. Ricopriamo tutto con il restante composto e con una forchetta lavoriamo sopra la superficie per far affiorare un po’ della crema di burro e cannella. Questo servirà per ottenere una superficie dorata e croccante per la presenza dello zucchero di canna.
Mettiamo a cuocere per 30/40 minuti, regoliamoci infilando uno stecchino che deve uscire asciutto.
Lasciamo raffreddare e spolveriamo di zucchero a velo.
Noi non abbiamo fatto in tempo nemmeno ad impiattarlo, lu vecchió aveva fame ed era stanco che voleva tornarsene nella sua tana!
Questo è un dolce buonissimo ed anche facilissimo e velocissimo da fare.
Buona vita e buon vecchió sperando in un anno migliore per lui e per tutti! ❤️
Fra le tradizioni dolci antiche, contadine e povere, una volta c’era la pizza de Natà che si dice affondare le sue radici nella tradizione medioevale.
Nel corso della storia culinaria marchigiana si è persa però la tradizione di preparala perché nel frattempo nelle nostre tavole natalizie marchigiane e non solo, sono arrivati i dolci più sofisticati e più ricchi di ingredienti quali il burro o il cacao o il cioccolato.
La pizza de Natà, una specie di panettone senza pretese, era fatta con tutti gli ingredienti che si raccoglievano in campagna alla fine dell’estate inizio autunno. Le noci ed i fichi simboli di fertilità e benessere legati al culto del Dio greco Dionisio, le uvette essiccate al sole nelle nostre campagne, portatrici di fortuna e benessere che solitamente si mangiavano il giorno del primo dell’anno erano gli ingredienti principali. Solo più tardi venivano aggiunti il cacao, il cioccolato, il caffè ed alcuni liquori come il mistrà. Inoltre non mancavano le bucce di agrumi, la cannella, i chiodi di garofano e le noce moscata.
La pizza de Natà assomiglia molto a lu crustingu, quel miscuglio di frutta secca e spezie, infatti dopo aver fatto il primo impasto cioè la pasta di pane, lo si aggiunge per darle più sapore e corporsità alla preparazione.
Nella ricetta originale c’è la frutta secca così senza essere insaporita dalla sapa come invece si fa con lu crustingu, è certamente più corta e facile la preparazione, quindi sta a voi scegliere la via che più vi aggrada.
A noi piace così com’è venuta la pizza de Natà.
La tradizione della cottura della pizza de casció e dóce de Pasqua, come quella de Natà vuole che si usino le pentole di rame alte e strette, quelle stesse appese nella nostra cucina che appartenevano alla nonna Margarita.
Avendo meno tempo di sempre, quest’anno ho fatto la pizza de Natà, in versione veloce senza lievitazione. Il lievito chimico per dolci non toglie niente alla bontà del dolce.
Quindi vi lascio la ricetta della pizza de Natà con lievitazione veloce.
Metterò quando avrò tempo anche quella con il lievito di birra, tanto è un dolce buonissimo che si può mangiare anche tutto l’anno.
Preparazione
La pizza de Natà
Lavoriamo 80 grammi di burro con 80 di zucchero, uniamo due uova, 30 grammi di olio extravergine d’oliva, 300 di latte, una tazzina di caffè, sapa a piacere, due cucchiai di cacao con 300 grammi di farina ed il lievito setacciati. Il composto deve essere morbido, consideriamo che dobbiamo aggiungere la frutta secca.
Uniamo quindi le noci, le mandorle, le nocciole, i pinoli, un goccio di Varnelli, la cannella e le scorze di arancia e di limone.
Versiamo nello stampo foderato con la carta forno e mettiamo a cuocere a 180 gradi statico per 35/ 40 minuti. Controlliamo la cottura con lo stecchino che deve uscire asciutto.
Natale è già passato, sarà festa fino al giorno dell’Epifania, possiamo fare ancora la pizza de Natà per chiudere in bellezza il periodo più bello e gioioso dell’anno!
Buona vita, buona pizza de Natà ❤️
Pizza de NatàLa pizza de Natà tagliata Le pentole di rame dove un tempo venivano usate per la cottura delle pizze de Natà o de Pasqua sia dolce che di formaggio
Patre Lavì ed il pranzo della festa dell’Immacolata Concezione
La zuppa ‘ndorata della festa dell’Immacolata Concezione
Patre lavì, mingherlino, biancaticcio, quasi invisibile, si concedeva poco nella vita. A tavola non diceva una parola, era peccato sprecare le parole per cose inutili. Si faceva il segno della Croce prima di mangiare, poi un cenno con la mano destra per far capire alla perpetua, zoppa ed orba, che poteva portare il pasto, niente o quasi: minestre, zuppe, legumi ed un pezzetto di pecorino rinsecchito o di lardo rancido. Povero patre Lavì! Qualche volta, la sera, negli ultimi anni si concedeva un formaggino sciolto nella minestra di brodo di ossa. Nelle feste comandate non era molto diverso il suo cibo: per la festa dell’Immacolata Concezione usava farsi fare la zuppa ‘ ndorata: pane e pecorino grattugiati grossolanamente e un po’ di sale sbattuti con le uova, completava il piatto il brodo bollente di pezzi di gallina vecchia e ricco di “serene”, le goccioline di grasso, messo sopra.
Ieri è stata la festa della Madonna dell’Immacolata che per la chiesa cade proprio all’inizio del nuovo anno ordinario nel periodo dell’avvento.
I tempi frenetici di oggi sembrano aver fatto dimenticare che una volta per il popolo cristiano era la più importante di tutto l’anno, si faceva la vigilia stretta e digiuno.
Domani sarà festa della Madonna di Loreto, molto sentita qui nelle nostre Marche, stanotte da qualche parte si faranno li focaracci, per salutare la venuta sul colle della Santa casa di Nazaret.
𝟵 𝗗𝗜𝗖𝗘𝗠𝗕𝗥𝗘 – 𝗦𝗮𝗻 𝗦𝗶𝗿𝗼 𝗩𝗲𝘀𝗰𝗼𝘃𝗼 Li Focaracci Avvenimento tutto e soprattutto marchigiano e infinitamente caro al cuore dei marchigiani, è la celebrazione della Traslazione della Santa Casa. La nostra gente vi ha intessuto un’aureola meraviglia di leggende. Si accendono i «focaracci», i falò che illuminano la via da seguire per Loreto, accompagnati da spari di schioppi e petardi. Alle ore 3,15 tutte le campane, anche delle chiese di campagna, suonano a distesa. Nelle case di campagna la polvere da sparo che avanzava dalla notte della venuta veniva conservata gelosamente per essere sparata nei giorni di temporale, in quanto si credeva potesse allontanare i fulmini, secondo l’antico principio dei simili. Peccato che dopo l’inserimento al castello di cittadini non solo stranieri, le campane che hanno suonato per anni alle tre di notte, sono state messe a tacere. Poveri cittadini deboli di orecchi e non solo😓
Comunque noi sempre ligi alle tradizioni, mettiamo la sveglia questa notte alle tre per pregare la Salve Regina! Petriolo non dimentica la sua storia e le sue tradizioni.
Torniamo alla nostra ZUPPA ‘NDORATA raccontando come si fa!
Facciamo un buon brodo di carne mista, gallina, manzo o di cappone.
Uniamo tutti gli odori classici, sedano carote, cipolla infilzata con i chiodi di garofano, una foglia di lauro che lo renderà più profumato.
Per la zuppa ‘ndorata grattugiamo il pane che non deve essere raffermo, secco, ma ancora morbido, uniamo il pecorino, poco sale, e lavoriamo con le uova, versiamo nel brodo bollente mescolando poco, non deve essere come la stracciatella, ma molto disomogenea e rustica.
Se ci piace uniamoci i pezzetti di gallina o di manzo. Patre Lavì sarà felice di vederci gustare il suo povero piatto!
Buona vita, buona festa della Madonna di Loreto ❤️
Essendo una brava vecchietta, prevedo che per le prossime feste natalizie non avrò tanto tempo, né tanta pazienza, né tanta forza. Sperando di arrivarci con le mani o con i piedi, mi sto preparando qualche piatto da servire in quei giorni.
Sempre sulle tracce della mia vita passata, in una delle feste natalizie, c’era la famosa minestra a scacchi con il brodo di gallina o di cappone. La mia minestra a scacchi non era la solita con le uova, il formaggio, le spezie, ma con la ricotta, molto più saporita e più ricca. Me l’aveva insegnata la moglie del nostro medico di famiglia, che ogni anno a Natale mi faceva arrivare a casa una stella di Natale dalla sua “serva”, una donna che non riusciva mai a tenere la bocca chiusa, per lei ogni persona aveva un difetto!
La signora a Natale che doveva fare molte spese di non pochi soldi, temeva di non percepire lo stipendio del marito cosa impossibile perché in quel tempo era come un impiegato al servizio del comune, insieme alla levatrice, al veterinario, al messo comunale, al becchino, al fontaniere, all’usciere, a “lu famigliu”, cioè il responsabile dell’anagrafe. Non dipendeva certo dal sindaco avere o non avere lo stipendio.
Io ero una giovane sposa senza esperienza pur avendo la passione della cucina, andavo sempre leggendo le ricette in ogni rivista e compravo le enciclopedie a fascicoli che poi facevo rilegare a Corridonia.
La minestra a scacchi di ricotta per molto tempo l’avevo rimossa dalla mia mente, qualche anno fa mettendo a posto le mie cianfrusaglie nelle vecchie credenze, fra le pagine di un quaderno con la copertina nera, c’era un foglio scritto a penna rossa con la sua ricetta. Ogni anno da allora nelle feste natalizie e pasquali la mia minestra arriva fumante sulla mia tavola decorata per l’occasione.
Vale la pena farla, è buona, buona ed è pure elegante nella sua presentazione!
Fra poco sarà Natale, domani sarà il primo giorno di Avvento e nell’attesa facciamoci un pensierino e prepariamola magari al posto dei soliti cappelletti per i quali ci vuole molto tempo. A voi la scelta!
Buona vita, buona minestra di ricotta e soprattutto buon pranzo cammino di Avvento ❤️
Ingredienti
500 grammi di ricotta
5 uova
100 grammi di parmigiano reggiano
Sale
Noce moscata
Buccia di limone
Due cucchiai di farina
Preparazione
In una ciotola mettere le uova, la ricotta, il sale, la noce moscata, la buccia di limone, lavoriamo con le fruste unendo il parmigiano reggiano e la farina. Dobbiamo ottenere una crema omogenea.
Foderiamo una lastra con la carta forno, versiamo la crema di ricotta livellando bene la superficie. Mettiamo in forno a 180 gradi per quasi trenta minuti, regoliamoci con il nostro forno, se la superficie scurisce troppo, abbassiamo un po’ la temperatura. Una volta cotta lasciamo freddare sopra una grata e poco prima di tuffarla nel brodo bollente la tagliamo a scacchi, aspettiamo che salga in superficie mescolandola. Serviamola subito!
La minestra di ricotta nel brodo di carne La minestra tagliata a scacchi La minestra appena uscita dal forno
La sera dopo la sfilata della banda che suonando accompagnava la folla al cimitero per ascoltare la messa in ricordo dei morti, si tornava su al paese piano, piano ognuno alla propria casa, discutendo col fiatone delle persone che non c’erano più e dei fatti del paese. Lentamente e con l’animo ormai in pace si pensava alla cena che per i più era costituita da un piatto di cuticùsu, fava lessata (fava ‘gréccia) condita con olio, aceto, sale, aglio, maggiorana e pezzettini di sardelle. La povertà di allora non consentiva di arricchire lu cuticùsu, solo più tardi in tempo dì benessere si incominciò ad unire gli ingredienti come il tonno, i capperi, i sottaceti ed il peperoncino. Mio padre era quello che una volta spogliatosi della divisa di suonatore della banda, si recava con un pentolino su verso la costa di s. Martì che portava alla sezione dei combattenti e reduci della guerra. Lì un gruppo di uomini giovani e vecchi preparavano guidati da una signora vedova, lu cuticùsu. Quel periodo e quelle persone non ci sono più ed insieme si è persa la tradizione, non per noi che il due novembre sulla tavola non può mancare lu cuticùsu nel ricordo di babbo.
Io so’ settembre; so’ molto cortese, a li villani io faccio le spese; porto l’ùa, li fichi, le mele e co’ ‘sti frutti je faccio piacere. Salvia, majorana, trosmarino trapiantali a settembre e al tuo vicino. È tempo di bacchiar le noci e la tradizione vuole che si faccia verso il 14 di questo mese data della festa dell’esaltazione della Croce. Santa Croce la pertica per la noce. E allora “lo pà nociato” con le noci appena raccolte e il pecorino, “lo pannociato” dolce, i biscotti di mosto fresco e semi di anici sono pronti! Per fare il pà nociato basta prendere la massa di pane ed aggiungere noci fresche e pecorino. Formare il filoncino è una volta lievitato cuocere come un pane. Per il pannociato dolce, si lavorano uova, burro, zucchero, caffè, cacao, vaniglia, uvette, noci, rum, cognac, alchermes, limone e farina quanta ne serve per formare un filoncino e cuocere a 180.
Zappa le viti d’agosto se vo’ (vuoi) rimpi’ la cantina de mosto, I nostri campagnoli rivolgono ora le loro attenzioni e cure più sollecite alla vite; aspettano la pioggia perché sanno che: se pioe (piove) nel mese d’agosto pioe mele e pioe mosto. Il popolo marchigiano, sempre assai sobrio, ha trovato spes so nei doni del campo il cibo suo, del resto più sano e sapori to; l’uva (l’ua) e i fichi di agosto, sono da esso chiamati « la for- tuna nostra »