tipicità

Pà nnociato ricetta salata con noci uva pecorino

Ricetta antica tradizionale contadina preparata quando “l’ùa è fatta e li fichi pénne”, cioè nel tempo della maturazione dell’uva pronta per la vendemmia ed i fichi pendono dagli alberi.

La massaia o la vergara la sera prima della preparazione del “pà nnociato” e del pane, era solita mettere il lievito. Un pezzo di pasta di pane lasciato ogni volta che panificava, e che segnava col taglio della croce, lo collocava nella conca della “matterà” madia. Insieme collocava “la monaca”, uno scaldino di terracotta forata con dentro la brace coperta dalla cenere. Il calore favoriva lo sviluppo della pasta del pane.

La mattina di buon’ora, riprendeva la pasta fermentata, aggiungeva altra farina e tutti gli ingredienti per formare il pà nnociato che si distingueva dal pannociato dolce con noci e cacao amaro.

Il pà nnociato si consumava prevalentemente nel tempo della vendemmia, nella festa dei morti e nel tempo natalizio; più che un pane era un companatico avendo dentro le noci, frutta secca sostanziosa, il pecorino, formaggio facilmente fatto in casa contadina ove si pascolava qualche pecora.

Il pà nocciato salato può essere fatto velocemente se compriamo dal panettiere la pasta del pane ed aggiungiamo le noci, il pecorino e l’uva.

Io vi lascio la mia ricetta per farlo in casa con tanto amore e ingredienti che scegliamo noi.

Ingredienti

500 grammi di farina 0

350 grammi di acqua

100 grammi di noci

Un grappolo di uva bianca da vino

250 grammi di pecorino metà grattugiato e l’altra a pezzetti

60 grammi di olio extravergine di oliva

Una bustina di lievito disidratato di birra o 25 grammi di lievito di birra fresco

Un cucchiaino di zucchero

Preparazione

Mettiamo nella ciotola della planetaria o sopra la spianatoia la farina, il lievito di birra disidratato o quello fresco sciolto in poca acqua, uniamo l’olio extravergine di oliva lo zucchero e lasciamo impastare, uniamo il sale e il pepe e metà del pecorino grattugiato Amalgamiamo tutto e lasciamo lavorare fino ad ottenere un impasto morbido. Regoliamoci con la quantità di farina ed acqua perché non deve essere ne troppo morbido ne troppo duro. Copriamo la ciotola con la pellicola e mettiamo a lievitare fino al raddoppio.

Riprendiamo la pasta, la lavoriamo un po’, la allarghiamo e uniamo le noci, l’uva il pecorino a pezzetti. Formiamo due filoncini con le mani unte di olio e sistemiamoli sopra una lastra foderata con carta forno. Rimettiamo a lievitare fino al raddoppio. Mettiamo a cuocere a 200 gradi per circa mezz’ora poco più. Il pane deve diventare dorato, regoliamoci perché ogni forno cuoce in maniera diversa.

Il pà nnociato è pronto da mangiare da solo o accompagnato da salumi e formaggi! Affrettatiamoci a prepararlo finché troviamo l’uva da vino. Si potrebbe fare con l’uva da tavola ma sarà meno saporito.

Buona vita, buon pà nnociato con noci uva e pecorino ❤️

Scorzette di melone candite

Le buttate le scorze di melone? Se sì, non lo fate più perché sono deliziose se le facciamo candite. Serviranno pazienza e un po’ di tempo però avremo un prodotto che non ha niente da spartire con i canditi che compriamo. Le scorzette di melone sono dolci e conservano tutto il sapore e il profumo di questo frutto.

Un tempo nelle nostre campagne della provincia di Macerata, le scorze del melone si infilavano con ago e filo e si mettevano ad asciugare al sole o sotto la cappa del camino. Al tempo della vendemmia si faceva bollire a lungo il mosto e quando era bello ristretto si univano le bucce del melone fino a quando diventavano lucide e candite con lo stesso mosto diventato una sapa.

In inverno le scorzette si usavano al posto dei canditi nei dolci a base di frutta secca come “lu crustingu” il tradizionale dolce natalizio più famoso della provincia di Macerata.

Ora il sole ha perso un po’ del suo calore, quindi non ci resta che far essiccare le scorze del melone o in essiccatore o al forno a bassa temperatura per diverse ore. Le tagliamo a piccoli cubi e dopo l’essiccazione le facciamo bollire nel mosto fresco per molto tempo fino ad ottenere uno sciroppo. Nel caso avessimo il mosto cotto, la cottura sarà più breve. Versiamo il tutto in un barattolo e chiudiamo subito per ottenere il sotto vuoto. Le scorzette sono ottime servite in coppa insieme ad altra frutta secca tipo uvetta e noci.

Un’altra preparazione è quella di fare una conserva di scorzette di melone. Le tagliamo a cubetti e le mettiamo a bollire nel mosto cotto fino a quando diventano morbide. Le invasiamo nei vasetti sterilizzati e li chiudiamo con i loro coperchi. La conserva si mantiene per molto tempo e può essere utilizzata anch’essa come canditi nelle varie preparazioni.

Teniamoci strette le nostre tradizioni culinarie perché questa è l’ultima generazione che le conserva con amore! Non credo che chi verrà dopo di noi potrà raccontare la nostra cucina povera e fantasiosa! A me spezza il cuore quando ci penso!

queste sono state essiccate al sole

mosto cotto invecchiato

Pannociato

È tempo di bacchiar le noci e la tradizione vuole che si faccia verso il il 14 di settembre quando si festeggia l’esaltazione della s. Croce:

Santa Croce

La pertica per il noce.

È il mese di settembre, quando sull’aia si “scartoccia” si spannocchia il granoturco e il suono dell’organetto si alterna al canto degli allegri stornelli. Più che fatica è festa campestre che si chiude con la danza popolare agreste, il saltarello, ballato sull’aia.

Settembre ha anch’esso i suoi preziosi doni:

Io so settembre; so molto cortese, a li villani io faccio le spese; porto l’ùa, li fichi, le mele e le nuci e co’ ‘sti frutti je faccio piacere!

‘Rrià’ “la vergara” co’ lu cistu e lo pà nnociato e a l’opre e a li villani lèsta lo fa magnà.

Questo dolce tradizionale popolare del territorio maceratese è ancora oggi preparato e gustato in molte famiglie del camerinese in occasione della festa dei morti e del tempo natalizio. In campagna veniva servito a parenti e vicini arrivati per spannocchiare il granoturco.

Arriviamo alla preparazione con questi ingredienti

250 gr di farina 0

2 uova di galline felici

100 gr di burro

150 grammi di zucchero

250 grammi di noci

100 gr di uvetta ammollata è asciugata

Buccia di limone

30 grammi di cacao amaro

Una tazzina di caffè

Rum, alchermes, cognac, mistrà più o meno di un bicchiere in tutto, bisogna regolarsi ad occhio

Una bustina di lievito per dolci

Preparazione

Lavoriamo lo zucchero con il burro e le uova, uniamo la buccia di limone e i liquori, mescoliamo per bene ed uniamo la farina con il lievito, le uvette e le noci.

Il composto deve risultare morbido, versiamolo nello stampo da plum-cake e facciamo cuocere a 180 gradi per quasi un’ora. Se vediamo la superficie che scurisce troppo a metà cottura copriamo con un foglio di alluminio. Facciamo la prova dello stecchino che deve uscire asciutto.

Questo è un dolce molto gustoso e adatto per la colazione e la merenda. Serviamolo con una tazza di squaglio fatto come si usava una volta.

Mettiamo in una pentola 100 grammi di cacao amaro, 250 di zucchero, un cucchiaio e mezzo di farina e mescoliamo bene, uniamo 1 litro e mezzo di latte e lasciamo cuocere a fiamma bassa mescolando per non farlo attaccare. Quando lo squaglio comincia ad addensare spegniamo il gas e serviamo nelle tazzine da tè. Sopra si formerà una gustosa pellicina di cioccolato che può anche non piacere ma basta mescolare per toglierla. I gusti sono gusti 🤣❤️

Il Pannociato possiamo gustarlo con un filo di marmellata di melagrana e fave tostate di cacao o con una marmellata a piacere!

Buona vita, buon Pannociato ❤️

Lu frecandò

Lu frecandò…..sì…sì signori, la “ratatouille” parola francese di un piatto di verdure tagliate a pezzetti, o a rondelle stufate ma la sostanza è sempre quella.

Un miscuglio di verdure estive cotte tutte insieme fino a diventare quasi un pastume come racconta il nostro amato poeta dialettale petriolese nei sui scritti sugli usi e costumanze popolari, Giovanni Ginobili. Tanti di noi siamo ancora appassionati del nostro dialetto che manteniamo costantemente anche di questi tempi dove la maggior parte delle persone rinnega le sue radici dialettali quasi per un senso di vergogna!

Noi della provincia di “Macerata granne”, siamo così, parlando cominciamo e finiamo tutte le parole con “lu”, lu sarvaì, lu mestellu, lu vecchiè, lu tavulì, lu piede, oppure con “lo” pà, lo ví, lo caffè, lo latte e così via. Capisco che non sia proprio un piacere sentir parlare in questo modo noi della provincia di Macerata e giù di lì, però siamo unici per la bontà di piatti tipici e per la bellezza di luoghi dove è possibile godere ancora una certa tranquillità e un benessere non da poco.

Siamo quindi perdonati se manteniamo il nostro dialetto e gustiamoci “lu frecandò” fatto quando abbondano peperoni, melanzane, zucchine e pomodori. Gli ortaggi maturati in pieno sole sono assolutamente più buoni e saporiti, hanno meno acqua e quindi tengono meglio la cottura. Questo è un piatto gustoso, saporito e servito freddo si accompagna bene con una fetta di salume specialmente con il capo collo, la nostra cosiddetta lonza e con il nostro pane naturale. Servito caldo con fette di pane abbrustolite. Nei tempi di ristrettezza economica era un piatto unico che la vergara preparava per sfamare la sua numerosa famiglia.

Ingredienti

500 gr di patate

Un sedano

Due carote

Una cipolla

Peperoni

Melanzane

Zucchine

Pomodori rossi e sodi

Un bel giro di olio extravergine di oliva

Sale e pepe o peperoncini

Maggiorana

Timo

Rucola

Basilico

Vino bianco

Acqua quanta ne serve per portare a termine la cottura

Preparazione

Laviamo le verdure, tagliamo le patate a “truzzitti” a tocchetti, le altre verdure a filetti, mettiamo la cipolla nella padella, l’olio extravergine di oliva e lasciamo cuocere per pochi minuti, uniamo le patate e le verdure, il sale pepe e peperoncini, lasciamo rosolare per bene ed aggiungiamo il vino bianco e l’acqua. Alla fine profumiamo con timo e maggiorana e magari con foglioline di rucola e basilico Mescoliamo e finiamo di cuocere fino a quando le patate risultano morbide. Serviamo lu frecandò caldo col pane abbrustolito o freddo con fette di capocollo la nostra lonza!

Manteniamo amici la nostra tradizione gastronomica popolare senza provare vergogna perché è da lì che siamo nati e cresciuti! Viva le nostre bellissime Marche ❤️

Buona vita, buon frecandò del tempo d’estate ❤️

Pinciarelle o pingiarelle senza uova con aquafaba e legumi

Le pinciarelle o pingiarelle due nomi ma sempre la stessa pasta, fatte a mano con la massa del pane al tempo delle nostre nonne. Sono senza uova perché in tempi passati si preferiva risparmiare e tenerle da parte per altre preparazioni. Il nome deriva dal gesto che la massaia faceva per staccare ogni pezzetto, “pincicava”, pizzicava e faceva scivolare sopra la spianatoia per formare le pinciarelle.

Due erano i condimenti preferiti dalle massaie, uno invernale fatto con un soffritto di olio extravergine di oliva, aglio, prezzemolo, tonno sbriciolato e alici diliscate, l’altro nella stagione estiva fatto con la pancetta, cipolla, maggiorana e pomodori ben maturati al sole caldo ed una parca spolverata di pecorino secco tanto da doverlo rompere con l’accetta! Abbiamo ancora in mente il rumore sordo di questo strumento di lavoro, che veniva dalla cucina di una casa affianco alla nostra. “L’accettarellu”, come si chiama in dialetto petriolese, si abbatteva sopra “battilardo”di legno consumato, un mobiletto tipo comodino antico, tanto da ritrovarsi in bocca insieme al pecorino, scaglie di legno intriso di unto per quanto era stato “battuto”, sopra, uno più di tutti, il lardo tenuto sotto sale e magari irrancidito. Il grasso così ammorbidito dalle “accettate”, serviva per fare il sugo di carne e per “lardellare” o spalmare il petto del pollame da arrostire.

Dopo i ricordi, oggi descriviamo invece le nostre pinciarelle o pingiarelle. Molto spesso le prepariamo con l’esubero di pasta madre ed acqua, ci piace variare le farine come quella di castagne, di farro o di grano saraceno, spesso con le uova se vogliamo un primo completo e sostanzioso o senza acqua se poi facciamo seguire un secondo piatto.

Da un po’ di tempo abbiamo scoperto l’uso dell’aquafaba utile in molte preparazioni proprio per evitare il consumo eccessivo di uova. Abbiamo sperimentato molte ricette con buoni risultati sia con i dolci che con il pane o torte salate. Facendo spesso facciamo l’uso di legumi sia freschi che in barattolo di vetro mettiamo da parte la loro acqua di cottura che manteniamo in frigo.

Come facciamo le pinciarelle?

Mettiamo nella ciotola della planetaria o sopra la spianatoia la farina 0 ed integrale o di farro della quantità che desideriamo, circa 500 grammi o di altro tipo, uniamo un pizzico di sale, il rosmarino tagliato finemente, l’aquafaba circa 150 grammi e acqua di rubinetto tanta quanto basta ad ottenere una pasta come quella delle tagliatelle. Impastiamo e formiamo una palla. Non c’è bisogno di farla riposare, quindi si può subito procedere alla preparazione delle pinciarelle. Stacchiamo un pezzetto di pasta, lo rotoliamo fra le mani e lo facciamo rotolare con il palmo sopra la spianatoia e spezziamo della lunghezza che desideriamo avere. Continuiamo così fino alla fine della pasta. Nel frattempo prepariamo in una padella, un soffritto un filo di olio extravergine di oliva e porro, uniamo i pelati spappolati con le mani, ancora aghi di rosmarino tagliati finemente e i legumi scolati. Lasciamo che tutto si insaporisca e spegniamo il fuoco. Mettiamo a cuocere le pinciarelle in acqua bollente salata, mescoliamo quando vengono a galla e lasciamo bollire per alcuni minuti. Assaggiamo per la cottura e se la troviamo giusta, le scoliamo e le facciamo saltare nei legumi mescolando per amalgamare e se serve uniamo l’acqua della cottura ed infine una spolverata di pecorino o parmigiano reggiano e aghetti di rosmarino.

Il piatto è pronto e possiamo gustare “le pinciarelle”senza paura di dover fare aumentare il colesterolo 😂

Buona vita, buone pinciarelle con aquafaba.❤️

Pizza dóce de Pasqua

Penso di far cosa gradita se vi lascio ancora una ricetta delle pizza dolce pasquale quella tradizionale con i canditi e buccia di arancia.

Per questa preparazione si dovrebbe fare un panetto lievitato la sera prima però se non si ha tempo, si può procedere il giorno stesso facendo solo attivare il lievito dentro il forno spento fino a quando si vedrà la schiuma in superficie. Scegliete voi.

Ingredienti

Una bustina di lievito di birra disidratato con 250 farina e 1/8 di latte e acqua per ottenere un panetto da far lievitare una notte

650 di farina 0

con 5 uova

150 di zucchero

150 di burro una bustina di lievito di birra disidratato

Canditi di cedro o arancia

Buccia di arancia

Latte quanto basta per ottenere un impasto morbido

Mezzo bicchierino di liquore all’arancia o una fialetta di aroma di arancia

Vaniglia

Ingredienti per la glassa

100 grammi di zucchero a velo

Succo di limone

Un cucchiaio di acqua calda

Se non dovessero bastare 100 gr di zucchero raddoppiare la dose

Preparazione

Se vogliamo fare il panetto mettiamo il lievito di birra disidratato con 250 gr di farina e tanto latte per ottenere una pasta morbida che la incideremo a croce e la lasciamo lievitare coperta con pellicola dentro il forno spento fino al mattino. Questo dovrà essere aggiunto alla farina e agli ingredienti oppure procediamo mettendo tutta la farina nella ciotola della planetaria o dentro un piatto se la faremo a mano, uniamo due bustine di lievito di birra disidratato, io vi suggerisco di fare attivare il lievito con un cucchiaino di zucchero e un po’ di acqua nel forno spento fino a quando si vedrà la schiuma, lo zucchero e piano piano le uova, lavoriamo per farle assorbire unendo il latte necessario per ottenere una pasta morbida. Mettiamo un pizzico di sale, la buccia di limone e di arancia, il liquore ed il burro fuso e tiepido poco alla volta, deve essere assorbito tutto prima di aggiungerne altro ed infine i canditi Lavoriamo bene fino a quando la ciotola risulta pulita e se a mano solleviamo la pasta ripetutamente per renderla elastica.

Con questa dose vengono due pizze dolci, voi potete dividere a metà per una sola.

Formiamo le due palle e accomodiamole negli stampi unti o foderati con carta forno. Una volta raggiunto il raddoppio, le spennelliamo con un uovo e latte e le mettiamo a cuocere a 150 gradi per quasi un’ora nel forno ventilato La superficie deve presentarsi dorata.

Non fate come me che queste pizze dolci di Pasqua le ho lasciate cuocere troppo! Il troppo storpia!!!

Lasciamo raffreddare le pizze nel forno spento.

Per la decorazione classica delle pizze pasquali

Setacciamo lo zucchero a velo uniamo il succo di limone e l’acqua calda mescoliamo bene e spennelliamo la glassa sopra le pizze dolci di Pasqua!

Buona vita, buone pizze dolci di Pasqua ❤️

Pizza di formaggio di Pasqua

Non si può rinunciare a Pasqua alla “pizza de cascio” da mangiare anche a colazione la mattina della festa insieme ai salumi marchigiani. In una giornata si può fare impastando 500 di farina 0 con una bustina di lievito di birra disidratato, un cucchiaino di zucchero o miele, 4 uova e acqua quanta ne serve per ottenere un impasto morbido, si uniscono noce moscata, pepe, buccia di limone e 60 gr di olio extravergine di oliva, 150 gr di formaggi misti fra pecorino, anche di capra, parmigiano reggiano e altri 50 gr di formaggio a cubetti. Una volta ottenuta una pasta setosa si forma una palla, si mette a lievitare fino al raddoppio, si sgonfia e si rimette a lievitare ancora. Si sgonfia di nuovo e si forma la palla per l’ultima volta. Si mette nello stampo unto a lievitare fino al raddoppio. Si lucida con un uovo sbattuto e si cuoce a 170 gradi ventilato per quasi un’ora. Lasciare a raffreddare nel forno spento!

Buona ve lo assicuro! Non ci credete??? 😂😂❤️

Provate la ricetta!

Buona vita, buona pizza o “crescia de casció de Pasqua!

#pizzadecascio #cresciadecasciomaceratese #pizzadiformaggiopasquale #ricettatradizionalemarchigiana #ricettatradizionalemaceratese #pecorino #ricetta #costumanzemarchigiane #lomagnadenaota #giovanniginobili #pitriommia #marcheintavola #marcheincucina #igersmarche #iomangiomarchigiano

La colomba di formaggio di Pasqua

Avete mai provato a fare la colomba pasquale di formaggio? Oltre ad essere buona fa una bella figura nella tavola di Pasqua magari farcita con salmone, paté di olive, di tonno, di prosciutto cotto e creme di formaggio e sottaceti. Si può servire la mattina di Pasqua a colazione accompagnata da salumi magari col nostro famoso”ciauscolo”a pasta morbida o semplicemente tagliata a fette bevendo un fresco bicchiere di Verdicchio di Jesi!

Questa è la mia ricetta veloce da fare in poche ore!

Ingredienti

500 gr farina 0

4 uova

100 pecorino stagionato

100 gr. parmigiano reggiano

un bicchiere di olio extravergine d’oliva

un bicchiere di latte intero

sale, pepe, noce moscata

Buccia di limone

50 gr di formaggio pecorino fresco a cubetti

un cubetto lievito di birra o una bustina di lievito di birra disidratato.

Preparazione

Sciogliere il lievito nel latte tiepido insieme ad un cucchiaino di zucchero dentro una ciotola e lasciarla nel forno spento ad attivarsi, dovremo vedere la schiuma in superficie. Possiamo anche non fare questo passaggio e mettere la farina, il lievito direttamente nella ciotola della planetaria o fare tutto dentro un grande piatto per impastare a mano, uniamo le uova, cominciando a lavorare uniamo il sale, il pepe, la noce moscata, il limone, i formaggi e quando tutto è ben lavorato, uniamo l’olio piano, piano fino ad ottenere un impasto morbido e infine i cubetti di formaggio fresco, teniamo da parte un po’ di latte che potrebbe servirci se il tutto risultasse troppo duro. Mettiamo l’impasto in uno stampo da colomba. Facciamo lievitare nel forno con la luce accesa. Appena il volume raggiunge il bordo dello stampo, accendiamo il forno a 170 gr.

Spennelliamo la superficie con un uovo sbattuto e mettiamo a cuocere per 30/ 40 minuti. La colomba di formaggio deve diventare bella dorata.

Facciamo la prova dello stecchino che deve uscire asciutto.

Lasciamo raffreddare la colomba di formaggio nel forno spento e farcirla solo la mattina del giorno in cui vorrete servirla.

Io l’ho tagliata in tre strati, li ho imburrati per far che non si inumidiscano al contatto delle creme di formaggio o di paté alternati a salmone o prosciutto ed erbe aromatiche.

Possiamo decorare la superficie con fiori freschi eduli.

Nella foto c’è la frittata “co’la mintuccia”, ossia la menta romana. Da noi si fa con trenta e più uova perché deve durare tutte le feste pasquali! La ricetta è sul blog basta cercare la frittata co la mintuccia.

Spero vi piaccia l’idea della colomba di formaggio di Pasqua! Io la faccio da diversi anni ed è sempre gradita da tutti!

Buona vita, buona colomba pasquale di formaggio! ❤️

Li caciù có la faetta

Siamo già alla fine del tempo di carnevale, molti dono i dolci tipici quasi sempre fritti e tanti anche tramandati di generazione in generazione!

Nel maceratese oltre i famosi scroccafusi, la cicerchiata, e le sfrappe ci sono “li caciù co la faetta”, sono piccoli ravioli ripieni di fave secche, in campagna la “vergara”, usa quelle lasciate per la semina dell’anno che verrà. Si aggiungono lo zucchero, il cacao, la buccia di limone, il mistrà fatto in casa e solo in tempi più recenti anche la cannella. I ravioli hanno una sfoglia povera senza uova, quest’ultime si aggiungono solo in tempi di abbondanza.

Le versioni per questi ravioli possono essere diverse, al posto delle fave si possono usare le patate ed i ceci!

Per fare li caciù có la faetta bisogna cuocere le fave secche messe in ammollo per una notte oppure quelle decorticate che hanno un tempo di cottura più breve, nell’acqua si mette una foglia di alloro. Una volta cotte si frullano se decorticate o al setaccio se intere, si aggiungono un pizzico di sale, lo zucchero, il mistrà, il cacao, la buccia di limone e la cannella se piace. Si mescola per ottenere una purea che se risulta dura si ammorbidisce con l’acqua di cottura.

Per la sfoglia si lavorano insieme alla farina 500 gr, tre cucchiai di olio extravergine di oliva, tre di mistrà, tre di zucchero ed un pizzico di sale con tanta acqua quanta ne serve per ottenere una pasta tipo tagliatelle. Si stende con la macchinetta della pasta in uno spessore sottile. Sopra si mette un cucchiaino di purea di fave. Si chiude a raviolo ed una volta finiti tutti, si friggono nell’olio di arachidi. Non bisogna farli cuocere troppo e non farli scurire perché non fanno bene alla salute!

Se piace si spolverano di zucchero!

Questi sono dolci senza nessun ingrediente di origine animale buoni per chi è vegan!

Sbrighiamoci perché il carnevale sta per finire!

Buona vita, buoni caciù co la faetta!

A presto ❤️🌹

.

Lo riso co’ lu schiená de lu porcu ovvero il riso con brodo della schiena del maiale

Costumanze marchigiane!

Ma del maiale non si butta niente no?

Ecco i giorni della merla, il freddo intenso renderà più facile fare “la pista del maiale “, ossia la salata. Dopo aver preparato salumi e messo a salare le altri parti dell’animale, restano le parti con le ossa le quali possono essere usate per preparare ripieni e minestre. Da noi nel maceratese si usano fare i ravioli con le parti della testa e della schiena e il riso in brodo. Dopo aver fatto bollire le ossa con ancora attaccata la carne, le si spolpano e si mettono a quasi fine cottura dentro il riso che cuoce nel loro brodo profumato da cipolla, sedano, carote e alloro. Si spolvera di pecorino grattugiato e si gusta!

Buona, calda e soprattutto gustosa! Ma credete che sia un sacrilegio di questi tempi!

Ma non si possono perdere le antiche tradizioni popolari della nostra cucina italiana! Io ci tengo!